venerdì 30 aprile 2010

Riferimento: relazione di L.Zambrano

nota alla relazione di L.Zambrano circa il riso umanamente parlando.

"Dei cittadini, o Pericle, nessuno potrà biasimare
il nostro cocente dolore, nè alcuno in città
potrà rallegrarsi alla mensa; tanto valenti
uomini sommerse il flutto del mare tempestoso.
Di sospiri gonfio, ansima per l'ambascia il petto.
Ma un farmaco diedero gli dei al dolore insanabile:
la forza di sostenerlo. Ognuno è soggetto
al dolore: ora esso a noi tocca: la sanguinosa
ferita il cuore ci strazia; altri esso raggiungerà
domani. Datevi forza, dunque, e bandite
ogni femmineo lamento."

[Archiloco]

giovedì 29 aprile 2010

Relazione di S. Crespi: Nietzsche e Leopardi a confronto

La relazione di S. Crespi sul confronto tra Nietzsche e Leopardi è qui allegata (si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting remoto del file).
Crespi scrive che "Leopardi per Nietzsche è colui che unisce la filologia alla poesia ed accanto ad essa appare anche la riflessione filosofica; il senso è per Nietzsche quello di un incontro perfetto".

mercoledì 28 aprile 2010

Gaspare Polizzi: genesi dell'antropologia negativa nella concezione leopardiana

Disponibile in rete l'ampia tesi di dottorato di G. Polizzi di cui al titolo di questo post.
>> link (file pdf, 998 kbyte, sito esterno, nuova finestra)
Il testo si articola in una circostanziata analisi dell'originaria individuazione leopardiana dell'ingenuità felice dei Californi, della scoperta attraverso Barthélemy del pessimismo greco, e della maturazione dell'antropologia negativa che emerge ne La scommessa di Prometeo.
Per il testo di Barthélémy, vedi il link su Google Books.

lunedì 26 aprile 2010

La perdita del riso: relazione di L. Zambrano

Ecco l'abstract della relazione di L. Zambrano:
Il testo discute la teoria di Leopardi secondo la quale, man mano che passa il tempo e l'uomo diventa più infelice, la capacità di ridere aumenta.
Dopo un breve sunto della concezione del riso presentata dal poeta nell'Elogio degli Uccelli si constata come, a dispetto di quanto detto da Leopardi, oggi l'uomo sembri aver in parte perso la capacità di ridere. Questa perdita potrebbe essere causata da un eccessivo restringimento delle nostre speranze, restringimento che ci impedirebbe di raggiungere il distacco necessario per farci ridere.
>> Seguire il link del "leggi tutto" per la relazione nel suo insieme.
 
La perdita del riso

Pietro Verri: fonte online e suggerimento critico

In relazione al tema piacere/dolore, discusso nella precedente seduta del seminario, si è fatto ampio cenno alle posizioni di Maupertuis e di Pietro Verri come due diretti antecedenti delle riflessioni leopardiane. Ci sembra utile ora segnalare ai lettori che il Discorso sull'indole del piacere e del dolore e il Discorso sulla felicità di Pietro Verri sono interamente digitalizzati nell'edizione del 1781 (presso Giuseppe Marelli, Milano) su Google Books.

Suggeriamo nel frattempo il saggio di L. Derla, La teoria del piacere nella formazione del pensiero di Leopardi, in "Rivista Critica di Storia della Filosofia", n. 26, 1972, pp. 148-6.

domenica 25 aprile 2010

Interpretazioni di Sade; qualche fonte online

Sull'argomento, che ha suscitato qualche curiosità nella discussione seminariale, sembra utile consigliare una risorsa online (Rodoni.ch, Ferruccio Busoni website/Bibliotechina del curatore) che riprende antologicamente l'ormai raro volume a cura di V. Barba Interpretazioni di Sade (Savelli, Roma, 1981):
- link, sito esterno, nuova finestra
Altre risorse con testi e saggi critici qui (dallo stesso sito di cui sopra, ampia scelta di originali, ripresa di letture critiche insigni tra cui quella di L. Baccolo).
Tra i materiali più recenti si può vedere con profitto R. De Benedetti, La chiesa di Sade. Una deviazione moderna, Medusa, San Giorgio a Cremano, 2008.

sabato 24 aprile 2010

Leopardi e Sade: sulla discussione dopo la relazione di V. Morosi

La relazione di V. Morosi, già presentata in abstract e handout in altro post, ha tra l'altro dato luogo a un'interessante scambio di opinioni su due temi: il rapporto tra noia leopardiana e apatia sadiana e la questione del piacere corporale.
Sul primo tema, la noia come desiderio puro di felicità e acuta consapevolezza del bisogno del piacere come non soddisfatto ma non offeso (concezione di Leopardi) è comunque un affetto; l'apatia sadiana, sottolineata da Barthes e Blanchot, sembra invece tentare di spostare il godimento da un piano prettamente fisico-sensuale a uno del tutto intellettuale. Sembrerebbe quasi la realizzazione del piacere come "subietto speculativo", cioè proprio la concretizzazione di quel che Leopardi riteneva impossibile!
Un'altra riflessione è sorta dai presenti in relazione alla localizzazione fisica del piacere: in Sade questo si limita alla débauche, cioè al suo aspetto erotico? O c'è un piacere della corporeità poliedrico e indipendente da quest'ultimo? Riflettendo sulla congiunzione necessaria tra piacere e crimine, in quanto il piacere è ritorno alla natura e trasgressione della legge che lo impedisce (come dice il finanziere Durcet nelle 120 Giornate, in passo che Morosi ha commentato), sembra si possa escludere che esista un piacere diretto e ingenuo della corporeità a contatto con la natura in Sade. O almeno che il libertino ne possa ancora godere con soddisfazione.

venerdì 23 aprile 2010

Relazioni del 23.04: M. Virgilio su Leopardi e Montaigne

M. Virgilio, confrontando Leopardi e Montaigne, si è soffermata sulla diversa benché convergente critica della ragione: se Leopardi nega la funzionalità della ragione rispetto alla felicità della specie umana, identificando nella ragione una facoltà che è diventata inutilmente ipertrofica, Montaigne esprime la propria convinzione che le anticipazioni raziocinanti ingombrino inutilmente l'animo con preoccupazioni che trattengono vanamente dalla vita vera e propria. Di qui in entrambi, almeno per un certo periodo, la  teorizzazione di una condizione ingenua della vita che, anche se non priva di contraddizioni e sofferenze, è meno contraddittoria della sofferenza e della malvagità dei moderni.
Nel corso della discussione si sono commentate in particolare alcune pregnanti espressioni della Storia del genere umano relative all'inquieta, insaziabile, immoderata natura umana che hanno animato una vivace riflessione sull'antropologia leopardiana. L'uomo, costituito per sua natura nello squilibrio del desiderio rispetto alla sua realizzazione, non è semplicemente dotato di ragione a compensazione della propria mancanza di istinti adattativi naturali che lo simbiotizzino ad un ambiente, ma perché la ragione in fondo non è altro che l'espressione diretta di quello squilibrio tendente all'infinito che è un elemento affettivo di base della nostra natura. In ciò Leopardi è un moderno lontano dall'equilibrio montaigniano, e non sembra mai pensare ad un uso disciplinato della ragione che ne parzializzi gli effetti, bensì alla necessità di contrastarne gli effetti con una potente controparte emotiva: fattore, questo, che lo differenzia anche da Spinoza.
Altro tema significativo della discussione è emerso in relazione alla lettura leopardiana del rapporto tra romantico e classico, soprattutto in rapporto all'idea di un classicismo che non è nell'ordine dell'imitazione dello stile squisito della letteratura, ma in quello di una modalità di rinnovata curiosità e disponibilità dello sguardo al mondo e alla natura contrapposta alla disillusione moderna.
Segue in prossimo post abstract e relazione di M. Virgilio.

Relazioni del 23.04: conclusioni di A. Crisanti

A. Crisanti ha concluso le sue riflessioni su Croce e Leopardi mettendo opportunamente in evidenza la complessità della lettura crociana laddove identifica la relazione tra elemento poetico e non-poetico nell'opera quasi come alternanza ritmica e strutturale che permette, di fatti, il maggior risaltare dell'espressione lirica. Per quanto la consequenzialità rigida da una posizione teorica precostituita pesi, ciò riscatta almeno parzialmente la lettura crociana a comprensione più organica del testo leopardiano (o almeno di singoli testi).
Nel corso della discussione, si sono toccati i temi dell'incomprensione crociana della varietà dei generi del comico in Leopardi, dovuti sia a ragioni di fondo di ordine ideologico sia a strutture limitanti della sua estetica, in particolare al rifiuto di una valorizzazione della poetica dei generi, e il rapporto tra Croce e De Sanctis, sul quale è prevista una relazione scritta di altro partecipante.
Ovviamente la svalutazione del registro comico ha come effetto precipuo l'analoga svalutazione delle Operette morali.
Seguiranno i documenti di A. Crisanti in prossimo post.

mercoledì 21 aprile 2010

Immagini della conferenza del prof. Aimi - con appunti del relatore

Appunti del relatore (conferenza del 16.04, file pdf, nuova finestra, sito esterno)
- link -

Slideshow su Picasa Web Album delle immagini della conferenza del prof. Aimi
- link -

Visualizzazione singola delle diverse in sequenza (immagini jpg, per salvare le immagini TASTO DESTRO, "salva destinazione[o oggetto] con nome..."):

1-2-3-4-5-6-7-8-9-10-11-12-13-14-15-16-17-18-19-20-21-22-23-24-25-26-27-28-29

Altri materiali :

> testo da Pedro de Cieza (file pdf, da anastatica, nuova finestra)
> testo da Montaigne (file pdf, da anastatica, nuova finestra)

Si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting remoto dei file.

martedì 20 aprile 2010

Equilibrio "ragionevole"...

Torniamo sul post precedente e lanciamo un suggerimento: questo equilibrio "ragionevole" invocato non è della ragione ma degli affetti; il primo passo dall'io al tu non è quello del riconoscimento razionale, ma forse quello dell'interazione emotiva...

lunedì 19 aprile 2010

La sfida di Leopardi?

Ad un livello universale, cosmologico, non ha senso parlare di felicità perché, se possiamo definirla come libero e totale godimento delle cose (come si può imprecisamente dire la definì il Leopardi), e se possiamo definire la libertà in generale come assenza d'impedimento al moto (e dunque libertà e felicità si fanno vicine vicine); allora, per quanto l'uomo si senta (o viva) più o meno libero, certo è che si scontrerà inevitabilmente contro il limite della morte, “abisso orrido, immenso” ove ogni luce, ogni speranza, è destinata a precipitare ed affievolirsi. Quest'abisso, considerando, in un ottica intellettuale, l'insieme delle leggi che reggono l'universo, s'apre, a partire da una certa prospettiva filosofica, nel momento in cui si prende coscienza che queste leggi (“leggi di dio”) altro non sono che una proiezione, una illusione dell'uomo (quella stessa illusione che sorregge il sentimento umano quando sente di godere, di stare godendo un piacere perfetto). Ecco, a livello logico credo che questo abisso possa essere definito una petitio principii, un circolo vizioso che nasce e si risolve nel medesimo luogo, nella medesima proposizione che, non sorretta da altro che da se stessa, ed essendo essa stessa vuota, può dirsi nulla.
Questo a livello universale e, si sa, “felicità” è concetto universale, come dire... nome estremo che non riesce a cogliere se non grossolanamente le sfumature, la gradualità con cui la realtà si manifesta alla sensibilità umana, ovvero il primo e più importante ordine che è ragionevole scoprire.
Dall'universo alla terra allora? No signori, si cadrebbe in un errore simile, forse. Felicità è un concetto dell'uomo per l'uomo, un concetto che descrive un'esperienza del mondo degli uomini. Dunque, dall'universo agli uomini. Qui si apre un orizzonte nuovo: non più felicità come assenza d'impedimento bensì, in una dimensione del tutto umana, interpersonale, politica; felicità (e qui provo a dirlo ma ancora non ho parole per farlo in maniera compiuta) come ragionevole equilibrio tra gli uomini. Ma qui, non si dischiude uno sterminato complesso campo in cui questo concetto rinasce (cambia forse anche nome e si moltiplica!); uno spazio umano, finalmente, in cui questa parola, “felicità”, si apre a nuovi significati e può davvero esprimere il suo potenziale? Qui la filosofia, forse, diventa davvero morale, solo qui, rendendoci consapevoli della scelta che è in essa implicata.
Può essere allora questo il luogo ove dimora lo “scandalo” di ogni filosofia (la pietra d'inciampo ma anche prima pietra) dove non si può solo giudicare una concezione, bensì è necessario anche costruirla.

Abstract e relazione di V. Morosi: Leopardi e Sade

Giacomo Leopardi e Donathien Alphonse-Francois De Sade posseggono in comune basi di pensiero materialistiche e sensiste, dovute al rifarsi ad autori settecenteschi di estrazione illuminista. Hanno in conseguenza di questo una certa comunanza nelle basi di analisi teorica da cui proseguire nella osservazione del mondo e della condizione dell'uomo. Tuttavia Sade si fa ben presto tentare da fini apologetici e dogmatici, indotti con grande probabilità anche dalla condizione di insofferenza esistenziale dovuta alla sua triste sorte, operando una totale rivoluzione della morale in chiave teofobica, e dipingendo una natura crudele e un uomo antisociale ed egoista.
Leopardi, invece, attua una analisi ferma e lucida della esistenza umana, sebbene nemmeno qui questa sia considerata idilliaca o piacevole. La condizione di raggiungimento del piacere sarà negata all'uomo, e con essa anche la possibilità di ottenere la felicità su questa terra. Il Recanatese è tuttavia lontano anche dal richiamarsi a morali ultraterrene, e tenterà di evidenziare una fuga dal dolore e dalla noia della vita mediante soluzione “passive”, quali il languore del sonno, la fantasia e il sogno.
Sade propende per una apologia ad oltranza del piacere fisico e attivo. Presto ciò lo condurrà ad una esaltata difesa degli atti criminali come mezzo con cui moltiplicare il proprio piacere, cosa questa che lo renderà noto all'immaginario comune come assoluto limite negativo dell'etica. Le soluzioni dei due autori sono quindi opposte, ma lo sguardo disilluso con cui si osserva il mondo è lo stesso. La tragicità dell'esistenza e l'impossibilità di salvezza operata da deus ex machina metafisici è da entrambi riconosciuta come fulcro in un mondo in cui, tragicamente, l'uomo deve imparare ad emanciparsi e rendersi autosufficiente. Ciò che cambia è solamente la sensibilità della risposta; da un lato abbiamo la brusca animalità che desidera aumentare sé stessa e il proprio piacere, dall'altro la paralisi attuata dalla sconfessione del medesimo e la ricerca di soluzioni alternative e caratterizzate da una sensibilità lirica non comune.

sintesi scritta (file pdf, nuova finestra, sito esterno)

Relazioni orali del 23.04

Le relazioni previste per il 23.04 sono di A. Crisanti (conclusione della relazione sulla lettura leopardiana di Croce), di M. Virgilio (confronto tra Leopardi e Montagine) e di V. Morosi (Leopardi e Sade). Di quest'ultima pubblichiamo in un post a parte l'abstract e una sintesi scritta. Se abbiamo sbagliato qualcosa scriveteci!

domenica 18 aprile 2010

Un articolo di Sossio Giametta su Croce lettore di Leopardi

Segnaliamo, in rapporto alla relazione orale di A. Crisanti che si concluderà nella prossima seduta del 23.04, un articolo piuttosto efficace di S. Giametta (insigne traduttore di Nietzsche) su Croce lettore di Leopardi, che prospetta anche alcuni interessanti riferimenti a Nietzsche e a Goethe.
link (sito esterno, nuova finestra)
Ricordiamo, dalla prima parte della discussione, come sia emersa la paradossale vicinanza di Croce al determinismo positivistico nell'interpretazione del rapporto salute-malattia-filosofia in Leopardi. Per contestualizzare ulteriormente la lettura crociana, potremmo avvalerci di un suggerimento di F. Tuccillo (Leopardi nel tempo, Napoli, Macchiaroli, 2001), che ascrive al sospetto di Croce contro l'irrazionalismo, il nichilismo e le filosofie vitalistiche la sua presa di posizione così dura contro Leopardi (nel 1922-23, periodo denso di altre gravi preoccupazioni politico-morali): come se nell'opera leopardiana si vedessero già tutte le dinamiche di quell'irrazionalismo antistoricistico che Croce coglieva come fattore dominante della crisi morale del liberalismo europeo.

venerdì 16 aprile 2010

Leopardi e la cultura greca

Sulla valutazione dell'epoca culturale classica in Leopardi, a scopi introduttivi e viste le riflessioni proposte dal precedente post, presentiamo online una parte di Leopardi antitaliano ad opera di F. Gallo, antologizzata anche nella dispensa, relativa a Socrate e Teofrasto, e in sostanza appunto all'analisi leopardiana della posizione storica del mondo greco rispetto alla tradizione occidentale.
file pdf, sito esterno, nuova finestra (si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting remoto del file)

Edipo

Edipo Re (vv.1186-1195)

CORO:
Ah, generazioni dei mortali,
la vostra vita e il nulla
in pari conto io tengo!
Quale, quale uomo
attinge felicità più salda
di un'illusione che balugina
e rapida declina?
Se il tuo destino,
o sventurato Edipo,
se il tuo destino a paradigma prendo,
nessun mortale dirò felice:

[....]
____________

Un istante di ammirazione per la poesia di Sofocle, per la città di Tebe e infine per la sapienza di Eleusi..
Ecco, mi sembrava bello sollevare questa risonanza, e se ne potrebbero generare molte altre come ad esempio citando qualche passo del libro dell'Ecclesiaste nell'Antico Testamento. D'altra parte non bisogna dimenticare che il Leopardi è cresciuto a suon di classici e preghiere..
Se riuscirò a raccogliere qualche idea magari svilupperò in un contibuto ciò che qui è solo accennato.

Buona giornata a tutti!

Alberto.

giovedì 15 aprile 2010

In relazione alle "californie selve"...

Segnaliamo ulteriormente sul tema della lettura del mondo americano e in generale dei selvaggi in Leopardi:
L. Sozzi, Le californie selve: un'utopia leopardiana, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, classe di lettere e filosofia», s. III, 1985, v. XV, 1;
M. Balzano, Il selvaggio americano e le sue fonti nell'opera di Leopardi, in «Rivista di storia della filosofia», 2005/2.

mercoledì 14 aprile 2010

Aspetti estetici della valorizzazione del "selvaggio" in Leopardi

Sempre per introdurre alla riflessione sui temi che svilupperà il prof. Aimi, indichiamo questo valido contributo in rete di Andrea Campana.
>> Leopardi, il pavone, la lumaca e l'altro (da GriseldaOnline)
La questione del rapporto con i selvaggi implica infatti anche un aspetto di relativizzazione del valore estetico della tradizione eurocentrica e un principio di paragone tra "mode" dei selvaggi e mode dei civilizzati, di cui si è già discusso in precedenti sedute.

Californie selve e scoperta dell'America: un contributo di B. Foresti

Sembra opportuno segnalare l'ottimo contributo online di B. Foresti, che confronta l'Inno ai Patriarchi e il Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez per evidenziare fonti e riferimenti ideologici della lettura leopardiana del Nuovo Mondo. L'autrice segnala l'importanza dell'abbozzo in prosa dell'Inno; sono importanti anche alcuni luoghi zibaldonici - indichiamo qui a puro scopo campionatorio le pp. 2712, 3179-80, 3301-4 etc., tutte con riferimento ai "Californi" (la popolazione selvaggia della California evocata nell'Inno ai Patriarchi, sub fine).
-> testo dell'Inno ai Patriarchi

Handout della relazione orale di F. Cavalleri

Handout (link su sito esterno, file pdf; si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting del file).
Tra le diverse tematiche sollevate dalla relazione, ricordiamo l'ampia riflessione sule diverse tipologie di "riso", da quello "dolce e riposato" a quello "terribile e awful". Una considerazione opportuna è sembrata essere quella della natura tutta intenzionale del ridicolo, come forma reattiva e critica, e sempre a scopo educativo, morale, psicagogico, oppure come manifestazione soggettiva di indipendenza rispetto ai costumi e alle mode. Non si è rilevato invece un aspetto ludico, un riferimento al riso come cifra ontologica, quale si potrebbe vedere per esempio in Nietzsche. Ma di ciò in altre annunciate prossime relazioni... Indichiamo nel frattempo, per un approfondimento teorico generale sulla tematica del rapporto tra riso e filosofia AA.VV., Ridere la verità. Scena comica e filosofia, c/d R. Prezzo, Milano, Raffaello Cortina editore, 1994.

martedì 13 aprile 2010

Oltre il nichilismo, Leopardi: struttura del volume

Anticipiamo la struttura del volume monografico de "il cannocchiale" a cura del prof. M. Biscuso di cui a precedente post:
- [M. Biscuso], Premessa, p. 3;
- S. GENSINI, La componente antropologica del pensiero linguistico leopardiano, p. 5;
- F. GALLO, Antropologia della condizione storica e strategie della comunicazione in Leopardi, p. 35;
- N. ALLOCCA, «Il corpo è l'uomo». Corporeità, medicina, magnanimità nell'antropologia di Leopardi, p. 57;
- G. POLIZZI, Nel laboratorio di Giacomo Leopardi «filosofo naturale», p. 101;
- A. DI MEO, Il «gioco dei possibili» e i limiti della ragione in Leopardi, p. 137;
- M. BISCUSO, La «spaventevole conchiusione» della metafisica leopardiana. Esistenza, esistente, contraddizione, p. 217.
Ricordiamo l'appuntamento del 30.04 per la presentazione agli iscritti al laboratorio e ai corsisti del prof. Vigorelli.

Relazione sul riso leopardiano di L. Panzeri: abstract e testo

L. Panzeri: relazione sul riso leopardiano

Abstract
Il riso in Leopardi assume una duplice importanza: da un lato il comico viene utilizzato come registro stilistico, dall’altro viene riconosciuto come forma di ammaestramento morale. Il fine che Leopardi si propone di ottenere con le “armi del ridicolo” è quello di scuotere gli animi e rinvigorire le conoscenze. Le Operette morali racchiudono le diverse sfaccettature di registri stilistici ironici (comico, satira, parodia) con un intento elevatore, cioè con la volontà di far riflettere il lettore. Il riso in Leopardi è sempre un riso amaro, che svela le illusioni e mette dinnanzi alla disperazione della vita. Chi ha il coraggio di ridere ha il coraggio di morire. Ciò che in fondo si scopre è che non c’è niente da ridere.

testo completo (si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting del file)

La scommessa di Prometeo: l'analisi di C. Galimberti e altri strumenti di interpretazione

In preparazione dell'incontro con il prof. Aimi del 16.04, invitiamo i frequentanti a riprendere con attenzione l'operetta leopardiana La scommessa di Prometeo, non solo per l'ampia citazione letterale da Pedro de Cieza (link alla versioni elettroniche originali disponibili), ma anche perché il testo costituisce, unitamente a diversi luoghi dello Zibaldone (soprattutto le pp. 1172-3, 2387-9 e 3797-8) uno dei punti cardinali della revisione critica leopardiana del tema del buon selvaggio e dell'analisi dello stato di natura. Molto importante al proposito è l'analisi e il commento corrente in nota alla sua edizione delle Operette a cura di C. Galimberti, che è pressoché interamente consultabile su Google Books in anteprima (non copiabile e protetta da copyright: indichiamo il link per chi non potesse consultare il cartaceo).
Sull'intera tematica del rapporto con i "selvaggi" si veda peraltro M. Balzano, I confini del sole. Leopardi e il Nuovo Mondo, Venezia, Marsilio, 2008 (su cui vedi la recensione di M. Biscuso sulla rivista online "il giornale di filosofia"). Il tema verrà toccato, oltre che dalla conferenza del prof. A. Aimi del giorno 16.04, anche dall'incontro del giorno 30 con i proff. M. Biscuso e F. Trabattoni; anticipiamo infatti che il saggio La «spaventevole conchiusione» della metafisica leopardiana. Esistenza, esistente, contraddizione, contribuito dal prof. Biscuso al volume monografico Oltre il nichilismo, Leopardi, della rivista "il cannocchiale" (nn. 1-2, 2009, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane), riporta importanti considerazioni sulla questione (soprattutto pp. 231-6).

sabato 10 aprile 2010

Sul riso in Leopardi: un saggio di L. Felici

Mentre torneremo in prossimi interventi sulle questioni sollevate dalla relazione di F. Cavalleri, nonché sulla complessa interrelazione tra satira, umorismo, ironia, sarcasmo e comicità bassa di cui si diceva nel dibattito, proponiamo ora un contributo di inquadramento di L. Felici disponibile su Google Books. Il saggio Teoria e fenomenologia del riso (pp. 46-58) proviene dal volume La luna nel cortile: capitoli leopardiani, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006.

Relazione orale di F. Cavalleri sul tono ironico nelle Operette morali (09.04)

ABSTRACT della relazione orale di F. Cavalleri (seguirà handout)
L'ironia è indubbiamente uno dei tratti peculiari e salienti delle Operette morali, il cui progetto attinge a fonti classiche così come alle moderne forme di scrittura filosofico-letteraria settecentesche.
Il ricorso all'ironia, lungi dall'essere mero artificio retorico, acquista un ruolo cruciale per la comprensione stessa del testo, descritto da Leopardi come “un libro di argomento profondo e tutto filosofico e metafisico, benché scritto con leggerezza apparente” (lettera 494 a A.F.Stella).
La tonalità ironica si esplica pienamente nel tentativo di una riscrittura conflittuale dell'esistente, colto da inediti tagli prospettici, e prende forma come apertura alla possibilità di sempre nuove ri-descrizioni della natura umana e sociale.
Tale istanza ironico-satirica, nel suo valore pienamente filosofico, condivide con le manifestazioni letterarie illuministiche settecentesche svariati aspetti. In primo luogo manifesta la consapevolezza del valore dell'approccio estetico, come alternativa e integrazione al discorso logico-sistematico. In tal senso, Leopardi si pone sulla scia delle scelte comunicative illuministiche, che avevano individuato nel racconto (conte philosophique) un mezzo comunicativo adatto per stimolare un pubblico colto, ma non specialistico, all'accoglimento di problematiche squisitamente filosofiche.
In secondo luogo, Leopardi ricorre all'ironia per realizzare una forma di relazione dialogica con il lettore, continuamente sollecitato alla rielaborazione attiva delle idee e alla riflessione sulle istanze aporetiche che emergono nel testo.
Le Operette morali condividono inoltre l'apertura alla multiprospetticità della rappresentazione, posta in atto mediante inedite inquadrature dei personaggi, e una continua teatralizzazione di idee. Infine, è presente nel testo un chiaro intento critico-demistificatorio, tratto caratteristico dei racconti illuministici e delle opere parodistico-satiriche settecentesche (Pope, Swift, Sterne), volto ad una lucida analisi delle storture della civiltà contemporanea.
Al di là delle ascendenze illuministiche, e delle affinità con le forme di scrittura ironica analizzate, esistono tuttavia tratti peculiari della tonalità ironica leopardiana, totalmente inediti e non ascrivibili ai generi sopra menzionati.
Nelle Operette morali infatti, alla derisione satirica, alla deformazione grottesca, alla distanza ironica si accompagna costantemente l'accento sofferto insito nella scelta di mettere comicamente in scena una verità tragica, che accomuna universalmente l'umanità.
Nelle Operette non è rintracciabile quello sguardo sardonico, acre di denuncia e irrisione, che compare in molti romanzi illuministici, e ancor più nelle opere parodistiche settecentesche, volte a mettere impietosamente a nudo i tratti salienti e contraddittori della modernità.
L'ironia di Leopardi, proprio perché nasce dalla tragica consapevolezza del comune destino umano e cosmico, è conforme al modello ravvisato dal socratico Filippo Ottonieri:“La mia ironia non fu sdegnosa e acerba, ma dolce e riposata”.
Si tratta, in ultima analisi, di una sofferta modalità di riflessione che, attraverso le armi dell'ironia, ambisce a proporre un'aperta e rinnovata problematizzazione intorno alla tragica condizione etica ed esistenziale dell'uomo, come singolo ed in relazione alla società.

venerdì 9 aprile 2010

Locandina della presentazione del 30 aprile: Oltre il nichilismo, Leopardi (ESI, Napoli 2010)

Ecco la locandina dell'evento. Ricordiamo che eccezionalmente la location della seduta sarà all'aula 510.
link (sito esterno, si ringrazia agenziaimpronta.net per l'hosting del file)

Modifica della licenza dei materiali del sito

Con la data odierna la licenza è modificata a Creative Commons Attribuzione Non opere derivate 3.0 Unported. Verificare dal link a fondo pagina le specifiche. In sostanza, i materiali sono di proprietà degli estensori; chi li riutilizza deve indicarne esplicitamente la fonte in qualsiasi riutilizzo e non può alterare o trasformare quest'opera, né usarla per crearne un'altra (fatti salvi i normali diritti di citazione, recensione e critica); la fonte da indicare è il presente blog con le rispettive attribuzioni autoriali; i post indicati come "materiali docenti" e "proposte di esercitazione" vanno attribuiti ad Amedeo Vigorelli e Franco Gallo come cotitolari dell'identità autoriale; non esiste un avallo o consenso esplicito al modo in cui il materiale è reimpiegato da terzi.

mercoledì 7 aprile 2010

Stile e pensiero nelle Operette morali

Con riferimento a due importanti testi critici (M. Manotta, Leopardi. La retorica e lo stile, Accademia della Crusca, Firenze, 1998; L. Neri, La responsabilità della prosa: retorica e argomentazione nelle "Operette morali" di Leopardi, LED, Milano, 2008) e a un aforisma di Nietzsche (La gaia scienza, 92 -> link al testo originale) introduciamo alcune considerazioni sul rapporto tra stile e pensiero nelle Operette morali. Ci permettiamo, d'acchito, di considerare che nella saggistica morale lo stile non rappresenta un fenomeno succedaneo o irrilevante ai fini della qualità della teoresi;  tanto più che, per riprendere una battuta dello Zibaldone giustamente enfatizzata da L. Neri (op. cit., p. 85-6), la fonte di conoscenza più forte e convincente per l'uomo non è di tipo deduttivo o calcolistico, ma è quella dell'analogia (cfr. Zib. 66, 3649). Al cuore della conoscenza c'è allora di fatto una capacità retorica di paragone, una capacità di porre similitudini che si muove, evidentemente, al livello della topica. Come suggerisce a ragione Nietzsche nel brano succitato, la capacità immaginativa che presiede alla poesia è dunque ciò che va incatenato e dominato per permettere una buona esecuzione stilistica della scrittura prosastico-argomentativa.

martedì 6 aprile 2010

Ancora sul Discorso sopra lo stato presente... e sul suo rapporto con le Operette: un saggio del prof. M. Biscuso

Un contributo propostoci dal prof. Massimiliano Biscuso, che sarà ospite del laboratorio il giorno 30 aprile prossimo, ritorna sul tema annunciato dal titolo di questo post per dare ulteriori spunti di riflessione ai partecipanti. Il testo è uscito originariamente su "La rassegna della letteratura italiana", luglio-dicembre 2008, pp. 477-490. NON è liberamente riproducibile con la stessa licenza degli altri materiali ma è al solo uso interno del seminario.
Link al testo: La civiltà come rimedio di se medesima. Il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani e la “filosofia sociale” di Giacomo Leopardi (file pdf, 235 kbyte: si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting del file).

lunedì 5 aprile 2010

Il riso nell'Elogio degli Uccelli: qualche riflessione

Tre dei testi più affascinanti delle Operette (Cantico del gallo silvestre, Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco ed Elogio degli uccelli) si configurano, nella finzione letteraria, come opere di altrui mano ai limiti della credibilità ed affidabilità: se il Cantico è tradotto a malapena per la complessa eterogeneità della sua lingua e per la sua tessitura metaforico-retorico aliena alla nostra cultura, l'apocrifo è senz'altro falso per metà (come sugerisce lo stesso Leopardi) oltre ad essere stato abbandonato per tempo lunghissimo senza custodia (il che suggerisce manipolazioni ancora più estese). Non meno singolare però il caso dell'Elogio degli uccelli, attribuito alla mano di Amelio Gentiliano, filosofo neoplatonico più volte citato nella Vita di Plotino ad opera di Porfirio, tradotta in latino da Leopardi nel 1814 e fonte altresì dell'episodio immortalato nel Dialogo di Plotino e di Porfirio.
Il testo, come si diceva, è assolutamente singolare non solo perché evidentemente estraneo a ogni documentata produzione del personaggio storico a cui è attribuito, ma anche perché riporta una serie di considerazioni che il pubblico del tempo con immediata associazione avrebbe colto come tratte da Buffon (dal Discours sur la nature des oiseaux - link alla versione francese) (e magari da Bernardin de Saint-Pierre, Études de la nature, un cui passo è ricordato in Zibaldone, 2686), per un verso e  dalla stessa esplicita filosofia leopardiana per un altro. Una recente lettura della stagione filosofica leopardiana che culmina nelle Operette ha inoltre suggerito un paragone importante con il Fedro platonico, che non possiamo qui seguire per esteso pur indicando la fonte critica (F. D'Intino, L'immagine della voce. Leopardi, Platone, e il libro morale, Marsilio, Venezia, 2009).  Alla tessitura dell'Operetta concorrono anche fonti classiche e rinascimentali (Anacreonte: Ode XX su Google Books, vai a p. 111 Virgilio, IV Ecloga, v. 60; Celio Magno: Rime, 43).

sabato 3 aprile 2010

Critica dei meccanismi della produzione culturale nel Parini e altrove

Ci siamo soffermati più volte sulla tematica complessa della relazione della critica sociale e morale di Leopardi con i fenomeni della modernità e della civilizzazione liberal-borghese, parzialmente simbolggiati dalla figura della "grande città". Abbiamo già notato che la condizione dell'urbanesimo moderno è ambigua, dato che nei confronti della città piccola Leopardi non è certo tenero.
Tuttavia ci sono almeno due passi significativi di cui ragionare a proposito della critica della città grande:

giovedì 1 aprile 2010

Giovinezza e illusione: a proposito di un pensiero del primo aprile (1823)

Leggiamo dallo Zibaldone [2684-5, 01.04.1823]:
"L’uomo sarebbe felice se le sue illusioni giovanili (e fanciullesche) fossero realtà. Queste sarebbero realtà, se tutti gli uomini le avessero, e durassero sempre ad averle: perciocchè il giovane d’immaginazione e di sentimento, entrando nel mondo, non si troverebbe ingannato della sua aspettativa, nè del concetto che aveva fatto degli uomini, ma li troverebbe e sperimenterebbe quali gli aveva immaginati. Tutti gli uomini più o meno (secondo la differenza de’ caratteri), e massime in gioventù, provano queste tali illusioni felicitanti: è la sola società, e la conversazione scambievole, che civilizzando e istruendo l’uomo, e assuefacendolo a riflettere sopra se stesso, a comparare, a ragionare, disperde immancabilmente queste illusioni, come negl’individui, così ne’ popoli, e come ne’ popoli, così nel genere umano ridotto allo stato sociale. L’uomo isolato non le avrebbe mai perdute; ed elle son proprie del giovane in particolare non tanto a causa del calore immaginativo, naturale a quell’età, quanto della inesperienza, e del vivere isolato che fanno i giovani. Dunque se l’uomo avesse continuato a vivere isolato, non avrebbe mai perdute le sue illusioni giovanili, e tutti gli uomini le avrebbero e le conserverebbero per tutta la vita loro. Dunque esse sarebbero realtà. Dunque l’uomo sarebbe felice. Dunque la causa originaria e continua della infelicità umana è la società. L’uomo, secondo la natura sarebbe vissuto isolato e fuor della società. Dunque se l’uomo vivesse secondo natura, sarebbe felice".
Sempre a proposito della melanconia e della diffidenza verso il mondo e il prossimo, il pensiero introduce una tematica (che verrà massimamente articolata nei Pensieri) che potremmo definire fenomenologico-esistenziale: mentre la propensione naturale della persona è nel senso dell'illusione e della proiezione di valore allo scopo di costruire la vita (ciò che potremmo anche definire, con un certo ardimento, l'equivalente del progetto esistenzialistico), la relazione sociale produce l'acquietamento del desiderio di vita e di cambiamento, la disillusione e il ripiegamento sull'egoismo. Quali tra le Operette presentano maggiormente questi temi? O si tratta di una problematica più evidente in lavori preparatori e collaterali, lasciata in secondo piano nelle Operette in relazione a un discorso più cogente e generale? E quanto questa valorizzazione della gioventù rappresenta il tratto specificamente romantico del Leopardi moralista? Ecco un altro buon tema di esercitazione...