sabato 3 aprile 2010

Critica dei meccanismi della produzione culturale nel Parini e altrove

Ci siamo soffermati più volte sulla tematica complessa della relazione della critica sociale e morale di Leopardi con i fenomeni della modernità e della civilizzazione liberal-borghese, parzialmente simbolggiati dalla figura della "grande città". Abbiamo già notato che la condizione dell'urbanesimo moderno è ambigua, dato che nei confronti della città piccola Leopardi non è certo tenero.
Tuttavia ci sono almeno due passi significativi di cui ragionare a proposito della critica della città grande:

1) (Ottonieri, cap. V): "Certamente il vero non è bello. Nondimeno anche il vero può spesse volte porgere qualche diletto: e se nelle cose umane il bello è da preporre al vero, questo, dove manchi il bello, è da preferire ad ogni altra cosa. Ora nelle città grandi, tu sei lontano dal bello: perché il bello non ha più luogo nessuno nella vita degli uomini. Sei lontano anche dal vero: perché nelle città grandi ogni cosa è finta, o vana. Di modo che ivi, per dir così, tu non vedi, non odi, non tocchi, non respiri altro che falsità, e questa brutta e spiacevole. Il che agli spiriti delicati si può dire che sia la maggior miseria del mondo";
2) (Parini, cap. IV): "Chiunque poi vive in città grande, per molto che egli sia da natura caldo e svegliato di cuore e d'immaginativa, io non so (eccetto se, ad esempio tuo, non trapassa in solitudine il più del tempo) come possa mai ricevere dalle bellezze o della natura o delle lettere, alcun sentimento tenero o generoso, alcun'immagine sublime o leggiadra. Perciocché poche cose sono tanto contrarie a quello stato dell'animo che ci fa capaci di tali diletti, quanto la conversazione di questi uomini, lo strepito di questi luoghi, lo spettacolo della magnificenza vana, della leggerezza delle menti, della falsità perpetua, delle cure misere, e dell'ozio più misero, che vi regnano. Quanto al volgo dei letterati [sott. nostra], sto per dire che quello delle città grandi sappia meno far giudizio dei libri, che non sa quello delle città piccole: perché nelle grandi come le altre cose sono per lo più false e vane, così la letteratura comunemente è falsa e vana, o superficiale. E se gli antichi reputavano gli esercizi delle lettere e delle scienze come riposi e sollazzi in comparazione ai negozi, oggi la più parte di quelli che nelle città grandi fanno professione di studiosi, reputano, ed effettualmente usano, gli studi e lo scrivere, come sollazzi e riposi degli altri sollazzi.
Io penso che le opere riguardevoli di pittura, scultura ed architettura, sarebbero godute assai meglio se fossero distribuite per le province, nelle città mediocri e piccole; che accumulate, come sono, nelle metropoli: dove gli uomini, parte pieni d'infiniti pensieri, parte occupati in mille spassi, e coll'animo connaturato, o costretto, anche mal suo grado, allo svagamento, alla frivolezza e alla vanità, rarissime volte sono capaci dei piaceri intimi dello spirito. Oltre che la moltitudine di tante bellezze adunate insieme, distrae l'animo in guisa, che non attendendo a niuna di loro se non poco, non può ricevere un sentimento vivo; o genera tal sazietà, che elle si contemplano colla stessa freddezza interna, che si fa qualunque oggetto volgare. Il simile dico della musica: la quale nelle altre città non si trova esercitata così perfettamente, e con tale apparato, come nelle grandi; dove gli animi sono meno disposti alle commozioni mirabili di quell'arte, e meno, per dir così, musicali, che in ogni altro luogo. Ma nondimeno alle arti è necessario il domicilio delle città grandi sì a conseguire, e sì maggiormente a porre in opera la loro perfezione: e non per questo, da altra parte, è men vero che il diletto che elle porgono quivi agli uomini, è minore assai, che egli non sarebbe altrove. E si può dire che gli artefici nella solitudine e nel silenzio, procurano con assidue vigilie, industrie e sollecitudini, il diletto di persone, che solite a rivolgersi tra la folla e il romore, non gusteranno se non piccolissima parte del frutto di tante fatiche. La qual sorte degli artefici cade anco per qualche proporzionato modo negli scrittori".
A ciò si aggiunga la difficoltà del conseguire la gloria (cioè un giusto apprezzamento dell'effettivo valore di una prestazione artistico-culturale) in un contesto in cui "gli occhi e gli animi sono distratti e rapiti parte dalla potenza, parte dalla ricchezza, in ultimo dalle arti che servono all'intrattenimento e alla giocondità della vita inutile" (Parini, cap. IX). Ma ancor più forte è l'individuazione di un volgo de' letterati, che potrebbe forse essere già intuizione del costituirsi di un ceto produttivo subalterno, in cui la prestazione intellettuale, piegata alle esigenze del diletto pubblico e della mercificazione della cultura, è di fatto diventata opera offerta su un mercato... agli interessati la possibilità di un'esercitazione non banale, che ci permette di confrontarci con la Kulturkritik e con la scuola di Francoforte, con Pasolini e con Moravia...

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