Leggiamo dallo Zibaldone [2684-5, 01.04.1823]:
"L’uomo sarebbe felice se le sue illusioni giovanili (e fanciullesche) fossero realtà. Queste sarebbero realtà, se tutti gli uomini le avessero, e durassero sempre ad averle: perciocchè il giovane d’immaginazione e di sentimento, entrando nel mondo, non si troverebbe ingannato della sua aspettativa, nè del concetto che aveva fatto degli uomini, ma li troverebbe e sperimenterebbe quali gli aveva immaginati. Tutti gli uomini più o meno (secondo la differenza de’ caratteri), e massime in gioventù, provano queste tali illusioni felicitanti: è la sola società, e la conversazione scambievole, che civilizzando e istruendo l’uomo, e assuefacendolo a riflettere sopra se stesso, a comparare, a ragionare, disperde immancabilmente queste illusioni, come negl’individui, così ne’ popoli, e come ne’ popoli, così nel genere umano ridotto allo stato sociale. L’uomo isolato non le avrebbe mai perdute; ed elle son proprie del giovane in particolare non tanto a causa del calore immaginativo, naturale a quell’età, quanto della inesperienza, e del vivere isolato che fanno i giovani. Dunque se l’uomo avesse continuato a vivere isolato, non avrebbe mai perdute le sue illusioni giovanili, e tutti gli uomini le avrebbero e le conserverebbero per tutta la vita loro. Dunque esse sarebbero realtà. Dunque l’uomo sarebbe felice. Dunque la causa originaria e continua della infelicità umana è la società. L’uomo, secondo la natura sarebbe vissuto isolato e fuor della società. Dunque se l’uomo vivesse secondo natura, sarebbe felice".
Sempre a proposito della melanconia e della diffidenza verso il mondo e il prossimo, il pensiero introduce una tematica (che verrà massimamente articolata nei Pensieri) che potremmo definire fenomenologico-esistenziale: mentre la propensione naturale della persona è nel senso dell'illusione e della proiezione di valore allo scopo di costruire la vita (ciò che potremmo anche definire, con un certo ardimento, l'equivalente del progetto esistenzialistico), la relazione sociale produce l'acquietamento del desiderio di vita e di cambiamento, la disillusione e il ripiegamento sull'egoismo. Quali tra le Operette presentano maggiormente questi temi? O si tratta di una problematica più evidente in lavori preparatori e collaterali, lasciata in secondo piano nelle Operette in relazione a un discorso più cogente e generale? E quanto questa valorizzazione della gioventù rappresenta il tratto specificamente romantico del Leopardi moralista? Ecco un altro buon tema di esercitazione...
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