A partire da alcune suggestioni contenute nel saggio di Jean Baudrillard Lo scambio simbolico e la morte, (tr. it. Feltrinelli, Mliano, 1979) suggeriamo a nostra volta alcuni contesti di lettura dell'Operetta leopardiana Dialogo della Moda e della Morte. Un testo che, oltre a presentare alcuni aspetti grotteschi se non persino macabri, che peraltro volgono in ridicolo l'iconografia tradizionale della morte, propone una vigorosa polemica contro la natura mortifera della moda. Quest'ultima è una forza snaturante, pervasiva, che è destinata a soppiantare l'intimità dell'uomo con la propria natura e a sostituirvi una natura seconda alienante e castrante.
BAUDRILLARD: LA MODA COME SEZIONAMENTO DEL CORPO. Ne Lo scambio simbolico e la morte Baudrillard rileva, sulla scorta di Barthes e Lacan, che tutta la moda, in quanto evidenziazione di parti del corpo, rimanda nella società contemporanea a una suggestione fallica per un verso e al fantasma del corpo in pezzi dall'altro. Essa segna il corpo come metonimia del fallo, cioè come simulacro iterativo della "funzione erettile" e quindi come segno sessuale, il che porta in sé la necessità pulsionale della generazione e dunque la percezione della mortalità (tema sul quale torneremo nell seconda parte di questo contributo). Scrive Baudrillard: "Tutta la storia attuale del corpo è quella della sua demarcazione, della rete di marchi e di segni che lo suddividono, lo sminuzzano, lo negano nella sua differenza e la sua ambivalenza radicale... stivali, cosciali, cazoncini corti sotto il mantello lungo, i guanti fin sopra il gomito o le calze a metà coscia, la ciocca di capelli sull'occhio o il cache-sexe della spogliarellista, ma anche i braccialetti le collane.... ovunque lo scenario è lo stesso: un marchio che assume valore di segno e con questo anche una funzione erotica perversa, una linea di demarcazione che simboleggia la castrazione..." (p. 113). Il corpo è spezzato dal segno vestimentario, porzionato in sezioni e sottomesso in ogni sua parte al disciplinamento sessuale.
LEOPARDI: LA MODA COME AUTOMUTILAZIONE E AUTOLESIONE. Nella lettura leopardiana la moda funge da pulsione autolesionistica che ha esiti macabri se non ripugnanti nella cultura arcaica, dove la deformazione si ostenta come alterazione fisica vera e propria, mentre nella "civiltà" moderna gli effetti sono meno visibili in termini diretti ma evidentemente più mortiferi e comunque proporzionati alla minore vitalità del mondo moderno. Mentre nella barbarie antica la carne diventa luogo dove si ostende, anticipandosi, la signoria della morte e della violenza sulla vita, nella moderna cultura vestimentaria la moda appare come sragione, deviazione illogica da uno standard di vita equilibrato a cui la conoscenza dovrebbe invece indirizzare. La natura emotiva forte della moda arcaica appare una reazione psichicamente primitiva alla percezione dell'irrevocabilità della morte, quasi una sua introiezione abreattiva e catartica. La moda moderna invece si estende alla disciplina del corpo come sua denaturalizzazione. Come vedremo nel secondo passaggio di questo contributo, ciò rimanda alla diversità del rapporto con la morte dei moderni rispetto agli antichi.
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