Nel 1828 Giuseppe Montani scriveva sull'Antologia (vol. XXIX) che le Operette morali sono un'opera tutta musicale e di musica, per giunta, "altamente malinconica" (per una lettura più ampia di quanto il Montani sostiene, cfr. F. Monterosso, Giuseppe Montani recensore di quattro edizioni leopardiane (1824-1831), in idem, Leopardi tra noi. Perché non possiamo non dirci leopardiani, Mauro Baroni-Turris-Spes, Viareggio-Lucca-Cremona-Milazzo, 1999, pp. 177-213).
Il tema della malinconia ricorre qua e là nelle Operette, nonché nello Zibaldone (pp. 15, 78-9, 170 etc.) e si caratterizza, altresì, per un legame specifico e forte con la verità, di cui giunge persino ad essere amica (Zibaldone, 1691). Nelle Operette, il sigillo stesso del libro è nel segno della malinconia (vedi l'incipit del Tristano). Ma coime si differenzia la malinconia dolce di Zibaldone, 170 da quella viva ed energica a Zibaldone, 1584 e da quella di Tristano o infine da quella "disperazione" e "tedio della vita" di cui è vittima l'omicida-suicida dell'ultima sequenza de La scommessa di Prometeo?
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