Un altro tema essenziale della sociologia baudrillardiana (dopo quanto detto nella parte prima di questo intervento) è l'interpretazione del capitalismo in relazione alla morte e della morte stessa nella sua possibile funzione critico-avversativa al sistema. Questa posizione baudrillardiana permette un confronto importante, al di là delle ovvie differenze teorico-culturali, con Leopardi.
Secondo Baudrillard, il tardo capitalismo (per usare una nozione di Habermas e della scuola di Francoforte) si struttura non tanto come dominio di classe, ma come società di simulacri, ossia di apparenze che non rimandano più a una verità nascosta o a una realtà da celare: in una metamorfosi radicale della nozione marxiana di ideologia, si individua, in rapporto con Nietzsche, il superamento della dicotomia tra superficie e profondità mediante l'introduzione del concetto di simulacro. Il simulacro è esso stesso unica evidenza aperta al pensiero e alla percezione, apparenza che si impone sempre più come sfera di godimento della proliferazione dei segni mediante la tecnologia digitale e iperreale dello spazio culturale odierno.
L'allettamento dato dall'ubiquitaria offerta del segno e del simulacro come semplice oggetti di godimento e di consumo ottunde la coscienza, occultando la circostanza per cui lo sfruttamento capitalistico è diventato mantenimento in vita della persona ai puri fini della riproduzione del sistema. La sfida radicale a questa coartazione dell'individuo è la morte come scelta soggettiva, reale, carnosa e non più come segno iterato e iperreale, di cui si parli continuamente nella produzione iconografica e narrativa della postmodernità (moda, cinema, musica, intrattenimento: la profondità della tesi va vista in rapporto al dominio della morte sul discorso della sessualità, come abbiamo visto nella prima parte). Fin qui, per sommi capi, la posizione di Baudrillard.
In Leopardi l'esperienza della morte ha a sua volta un significato eversivo quando viene vista non tanto nel senso della contrapposizione con Epicuro e con le tanatologie classiche (come nel Ruysch), bensì dal punto di vista del soggetto contemporaneo che rifiuta la propria partecipazione al grande processo progressivo del secolo e desidera la morte come collocazione postuma volontaria. Del resto la vita dei moderni, come visto nel Dialogo della Moda e della Morte, è sempre più affine alla morte vera e propria (cfr. anche Zibaldone, 3031). Qui troviamo una interessante assonanza con Baudrillard, nell'idea cioè che la vita moderna offra una circolazione precoce e indiscriminata, sempre più accelerata e vorticosa, della morte come sostanza e significato intrinseco dell'esperienza della vita. In ciò si nota la differenza con gli antichi che non temevano la morte potendo vivere una vita intensa, mentre i moderni possono consumarsi nella vita simile alla morte che il sistema della moda/progresso/tecnica offre loro, o agognare la morte come forma di maturazione ultima di un'alterità che li proietta vero un futuro indeterminato di dignità e verità della vita (se non di felicità: tema del Tristano).
In Leopardi però la proliferazione contemporanea dei segni produce insignificanza e livellamento: non piacere e interazione emotiva, bensì saturazione, disintesse, egoismo e quindi si funzionalizza proprio alle tendenze capitalistico-borghesi dell'individualismo egoistico (cfr. come ne Il Parini, ovvero della Gloria si evidenzi l'assoluta noncuranza con cui la quantità crescente della produzione letteraria e artistica viene accolta dal pubblico moderno, in particolare cap. IV, sub fine).
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