sabato 12 giugno 2010

"Strano che tutti i ricordi che tornano abbiano due qualità. Sono pieni di silenzio; è questa anzi la loro virtù più forte, e rimangono tali anche se la realtà fu diversa. Sono visioni mute che mi parlano con lo sguardo e coi gesti, ed è il lororo silenzio che mi commuove nel profondo, che mi obbliga a toccare la manica del cappotto od il fucile per non lasciarmi andare in questo abbandono, in questo dissolvimento in cui il mio corpo dovrebbe dilatarsi e dileguarsi verso le misteriose forze che si celano dietro le cose.
Le immagini sono silenziose, proprio perchè qui il silenzio è inconcepibile. Non vi è silenzio al fronte, e il dominio del fronte giunge così lontano che non ci avviene mai di uscirne. Anche nei depositi arretrati e nei quartieri di riposo il ronzio, sordo brontolio del fuoco lontano persistono nelle nostre orecchie. Non ci si porta mai così indietro che si arrivi a non sentirlo più- In questi giorni poi è insopportabile.
E il silenzio fa sì che le immagini del passato non suscitino desideri ma tristezza, una enorme sconsolata malinconia. Quelle cose care furono, ma non torneranno mai più. Sono passate, sono un mondo divers, perduto per sempre. Finchè eravamo in caserma destavano in noi una selvaggia e ribelle bramosia, perchè erano ancora congiunte a noi, ci appartenevano e noi appartenevamo ad esse, quantunque ne fossimo separati.
Ma qui in trincea quel mondo si è perduto. Il ricordo non sorge più; noi siamo morti, ed esso ci appare lontano all'orizzonte come un fantasma, come un enigmatico riflesso, che ci tormenta e che temiamo e che amiamo senza speranza. Forte senza dubbio, come la nostra bramosia ma irrealizzabile, e noi lo sappiamo. Un'aspirazione vana, come sarebbe quella di diventar generale.
E se anche ce lo restituissero, questo paesaggio della nostra gioventù, non sapremmo più bene che farne. Le delicate e misteriose energie, che da esso si trasfondevano in noi, non possono rinascere. Noi vi potremmo bensì vivere, circolare, ricordarci in esso, ed amarlo e commuoverci alla sua vista; ma sarebbe la stessa cosa di quando guardiamo la fotografia d'un compagno morto: sono i suoi tratti, è il suo volto, e i giorni che abbiamo passati insieme riacquistano nella memoria una vita fittizia: ma non è lui.
Non saremo mai più legati al nostro dolce paese, come fummo un tempo. Non era già la conoscenza della sua bellezza nè del suo carattere quella che ci attirava, ma senso di comunanza, questa fraternità nostra con le cose e con gli eventi della nostra vita, e ci separava dal resto e ci rendeva un poco incmprensibile anche il mondo dei nostri genitori: perché, non so come, eravamo sempre e teneramente abbandonati, perduti in quell'amore, e la più piccola cosa ci conduceva sempre sul sentiero dell'infinito. Era, forse, il privilegio della nostra giovinezza? Noi non vedevamo limiti, il mondo intorno a noi non aveva fine, e nel sangue palpitava l'attesa che ci faceva una cosa solo con lo scorrere dei nostri giorni.
Oggi nella patria della nostra giovinezza noi si camminerebbe come viaggiatori di passaggio: gli eventi ci hanno consumati; siamo divenuti accorti come mercanti, brutali come macellai. Non siamo più spensierati ma atrocemente indifferenti. Sapremmo forse vivere, nella dolce terra: ma quale vita? Abbandonati come fanciulli, disillusi come vecchi, siamo rozzi, tristi, superficiali. Io penso che siamo perduti."

[Remaque, Niente di nuvo sul fronte occidentale]





Uff..che fatica, che lungo! Ma n'è valsa la pena ch'è proprio bello. Se vi capita, e non l'avete ancora fatto, leggetevi il libro.

ciao

domenica 30 maggio 2010

memento

“Sorella mia! Hai udito mai i defunti parlare dalla tomba?

Son morta! La tua povera Maria è morta. M'hanno distesa sul cataletto, m'hanno coperto del drappo mortuario, hanno recitato il requiem, le campane hanno suonato... Mi pare che qualche cosa di funereo mi pesi sull'anima, e che le mie membra sieno inerti. Fra me e il mondo, la natura, la vita, c'è qualche cosa di più pesante di una lapide, di più muto di una tomba.

E' uno spettacolo che atterrisce! La morte fra il rigoglio della vita, fra il tumulto delle passioni, il corpo che vede morire l'anima, la materia che sopravvive allo spirito!

Apro gli occhi come trasognata; spingo lo sguardo nell'immensità, fra quel buio, quel silenzio, quella quiete inerte... Tutto è ad una immensurabile distanza. Ti vedo come in un sogno, al di là dei confini della realtà... Sei tu che sei svanita nel vuoto, oppure sono io che mi son smarrita nel nulla?”


[Verga, Storia di una capinera]


...per non perdere queste righe, a mio parere, molto belle.

martedì 25 maggio 2010

Relazione di I. Crippa: la realizzazione di sé tra illusione e raziocinio

Pubblichiamo la relazione di I. Crippa, che analizza testi tra Zibaldone, Discorso sopra lo stato presente de' costumi degl'Italiani e Operette morali in relazione a un problema morale e politico che è stato totccato sia nel seminrario sia nella conferenza-dibattito con il prof. M. Biscuso.
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venerdì 21 maggio 2010

Pubblicazione delle relazioni

Si ricorda a chi non avesse provveduto l'assoluta opportunità di trasmettere ai curatori la propria relazione scritta entro la data odierna.

martedì 18 maggio 2010

Blog aperto: decisione

Considerata la rilevante presenza di contatti, anche per buona parte non riconducibili agli autori accreditati o iscritti, si è deciso definitivamente di tenere il blog aperto a tutti i lettori. I commenti saranno possibili sia come anonimi sia con propri account, e soggetti a moderazione.
L'evoluzione del blog al termine del seminario deve ancora invece essere discussa; tuttavia lo spazio web non verrà cancellato o rimosso.

domenica 16 maggio 2010

M. Martone inscena le Operette morali

Dal 3 al 15 maggio 2011 M. Martone propone una versione scenica delle Operette morali al Teatro Argentina a Roma.
Ovviamente da vigilare se altri più vicini teatri lo mettano in cartellone, o un'ottima scusa per andare comunque a Roma... per ora pare che lo spettacolo sarà allestito anche allo Stabile di Torino il 17 marzo 2011 in concomitanza con le celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia. E ci sembra molto giusto che l'antitaliano par excellence sia convocato alla celebrazione di un'idea di patria da fare.

G. Milella Gonzalez: la voce di Leopardi nei personaggi delle Operette

G. Milella Gonzalez ha predisposto una relazione sul rapporto tra alcuni personaggi delle Operette morali e la voce propria  e specifica di Leopardi. Rielaborando l'analisi svolta nelle sessioni iniziali circa la natura figurale del sistema dei personaggi, Milella si concentra in particolare sulle figure di Amelio, Ottonieri e Eleandro.
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Relazione di M. Tussi: il riso nelle Operette, in Luciano e in Gogol

M. Tussi presenta una relazione sulla funzione del riso in alcune Operette, nei Dialoghi dei morti di Luciano di Samosata e in Gogol, con particolare riferimento a L'ispettore generale. L'autrice si sofferma sulla presenza di una funzione consolatoria e alleviante e di una funzione critica e sociale ascrivibili entrambe al riso e sulla loro relazione. 
Per chi non avesse a disposizione il testo dei Dialoghi dei morti di Luciano, ricordiamo come sia reperibile su Wikisource.
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sabato 15 maggio 2010

Pubblicazione delle relazioni scritte: avviso a tutti gli iscritti al seminario

Stiamo procedendo a pubblicare le relazioni finora ricevute. Ricordiamo di aver fissato il termine del 21 maggio per l'inoltro ai curatori dei lavori ancora non consegnati.
Le relazioni si trovano sotto l'etichetta "esercitazioni studenti".
Per ogni evenienza contattare gli amministratori del blog ai recapiti noti.

Natura e corpo da Kant a Husserl passando per Leopardi: relazione di C. Spenuso

C. Spenuso presenta un'articolata relazione sulla concezione leopardiana della natura e del corpo a partire da un confronto con varie tesi coeve e successive, toccando Kant, Goethe, Husserl e Schopenhauer. Suggestiva in particolare la strategia dell'accostamento di Goethe a Husserl.
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G. Lidissini: il concetto di natura tra il romanticismo tedesco e Leopardi

…non ci è dato di sapere, al mondo…
Nulla di nulla…
Dove afferrarti, o natura infinita?

(Goethe, “Faust”)

"Il concetto di natura rappresenta certamente uno dei grandi temi del Romanticismo, specie di quello tedesco. Infatti l’amore ed il fascino per essa costituiscono uno dei dati più caratteristici del periodo, che affonda le sue radici nel clima culturale dello Sturm-und-Drang e che filosoficamente si alimenta della riscoperta del pensiero di Spinoza.
Appunto il nome di Spinoza si cela dietro questo movimento di idee; durante il settecento molti suoi testi esercitarono una nascosta influenza sulla cultura tedesca, senza che mai questo filone di pensiero abbia potuto uscire allo scoperto."
Prosegui la lettura della relazione di G. Lidissini...

P. Biocchi: Leopardi attuale

In relazione al Dialogo di un fisico e di un metafisico, P. Biocchi ci presenta una sua  riflessione sull'attualità di Leopardi in relazione a tematiche bioetiche e alla fondatezza dell'allungamento della vita ad ogni costo.

S. Kerfa: seguito al Dialogo della Natura e di un'Anima

Ecco come S. Kerfa apre la sua relazione:
"Propongo un seguito al Dialogo della natura e di un'anima.
La Natura se ne è andata per mano con il destino.
L'anima è rimasta sola e una nuova voce sale sulla scena: cerca di convincerla ad esistere come lo facciamo noi.
Questa terza voce è eco di anime che hanno saputo, come Leopardi, mettere in piena, bella e terrificante luce l'indiscrezione dell'uomo.
Animale domestico, formica, pazzo, saggio, suicida, l'uomo eccellente supera il suo contorno per costruire paradigmi diversi e un unico fine: uscire di scena abbracciato ad un se."

La disillusione, frutto dell'età: relazione di I. Tambellini

"Facendo riferimento alle note dello Zibaldone e alla lettura delle Operette morali, tenterò di mostrare brevemente come le assunzioni teoretiche fondamentali dell’autore si riflettano in una particolare concezione della storia e nella sua poetica. Da ultimo ho provato ad abbozzare delle linee per pensare, a partire dal pensiero di Leopardi, una prospettiva morale.
Comincerei pertanto col riassumere i tratti fondamentali dell’antropologia che è possibile trarre dalla lettura dell’opera leopardiana..."
Prosegui la lettura della relazione di I. Tambellini in formato pdf (sito esterno, nuova finestra; si ringgrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting remoto del file):

venerdì 14 maggio 2010

Avvio di un confronto tra Mandeville e Leopardi: relazione di M. Bellan

M. Bellan ha elaborato il suo intervento sul tema, del tutto nuovo per il seminario, del rapporto tra le idee di Mandeville e quelle di Leopardi. Il file in formato pdf è disponibile, su sito esterno e nuova finestra, a questo link (si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting remoto del documento).

Relazione di M.S. Crucinio: l'arte di vivere lungamente o di vivere intensamente?

M.S. Crucinio ha elaborato il suo intervento intorno al Dialogo di un fisico e di un metafisico. Il file in formato pdf è disponibile, su sito esterno e nuova finestra, a questo link (si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting remoto del documento).

giovedì 13 maggio 2010

Relazione di A. Lodi sul tema del suicidio in Leopardi

A. Lodi presenta la sua relazione che confronta Leopardi, Hume e Schopenhauer sul tema del suicidio.
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Relazione di L. dell'Acqua sul Venditore di Almanacchi

L. dell'Acqua presenta la sua relazione sul breve dialogo leopardiano del 1832.
Scaletta della relazione:
  • Quadro generale sulla composizione dell’opera e collocazione dell’operetta presa in esame;
  • Breve interpretazione dell’operetta;
  • Citazione di un passo dello “Zibaldone di pensieri” contenente il concetto cardine dell’operetta;
  • Teoria del piacere, felicità ed immaginazione, illusioni: temi del pensiero di Leopardi;
  • Breve riferimento a Schopenhauer;
  • Ripresa passi dell’operetta in esame;
  • Conclusione: impressioni e lettura personale dell’operetta analizzata.

mercoledì 12 maggio 2010

Relazione di M. De Donno: Leopardi e la Natura

M. De Donno presenta la sua relazione su Leopardi e la Natura, che, muovendo da un confronto tra lo scenario dell'Islandese e quello della Ginestra, perviene a una riflessione conclusiva e, come vuole sottolineare l'autore, personale, sul rapporto uomo-natura.
I temi trattati da De Donno sono stati oggetto, tra l'altro, di una significativa discussione tra Adriano Sofri e Sebastiano Timpanaro (cfr. rispettivamente Sempre verde mi fu, "Panorama", 12 aprile 1987, pp. 136-41 e Il "Leopardi verde", "Belfagor", XLII, 6, 30 novembre 1987, pp. 613-37, ora in Il Verde e il Rosso. Scritti militanti, 1966-2000, c/d L. Cortesi, Roma, Odradek, 2001)
Il testo di M. De Donno è disponibile in pdf su sito esterno (si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting remoto del file).

domenica 9 maggio 2010

Immagini dalle Operette morali (relazione scritta di A. Pirola)

La relazione tocca saggisticamente alcune figure dei personaggi delle Operette, alla ricerca di un'interazione che sia contemporaneamente capace di restituire la loro parola e di porsi come avvio creativo di un'opera personale. Buona lettura!
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sabato 8 maggio 2010

IL RISO DI NIETZSCHE E IL RISO DI LEOPARDI (relazione orale del 07.05 di E. Panicieri)

SCALETTA
(per chiarimenti ed approfondimenti sulla mia relazione, data la sinteticità della scaletta, dovuta al fatto di darvi solo un ordine mentale per la mia, già avvenuta, relazione orale, sono molto lieta di essere contattata)


FONTI: Saggio "Il riso di Nietzsche e il riso di Leopardi" di Antimo Negri raccolto nella dispensa dei materiali di questo laboratorio da pag. 65 a pag. 86; aforismi nietzschani tratti da La volontà di potenza e da La gaia scienza (purtroppo ho dovuto fare una cernita assai magra). Durante la scaletta preciserò i numeri dei vari aforismi.


1) PREMESSA (MOLTO IMPORTANTE)

venerdì 7 maggio 2010

Aspetti stilistici delle Operette morali sulla falsariga delle Lezioni americane di I. Calvino: relazione di G. Mancinelli

LEOPARDI E LE LEZIONI AMERICANE

Leggendo le "Lezioni americane" di Italo Calvino contemporaneamente alle "Operette morali" di Giacomo Leopardi ho avuto l'impressione che il poeta marchigiano avesse scritto la sua opera seguendo i consigli dati da Calvino nelle sue lezioni.
Ovviamente ciò è impossibile, ma è invece chiaro come Calvino abbia scritto le Lezioni tenendo presente lo stile di Leopardi. Infatti nelle Lezioni ci sono moltissimi richiami da parte di Calvino sia allo Zibaldone sia ad altri scritti del poeta marchigiano; questa breve relazione cercherà di evidenziare i punti in cui "Leggerezza", "Rapidità" e gli altri aspetti dello stile consigliatii da Calvino ai futuri scrittori emergano con maggiore rilevanza proprio all'interno delle Operette
Prima di fare ciò riassumiamo brevemente le "Lezioni americane".

lunedì 3 maggio 2010

Relazione di M. Goegan su Goethe e Leopardi

M. Goegan sviluppa un paragone tra l'antropologia del Faust goethiano e quella delle Operette, con riferimento ai temi della gloria, dell'azione, della ricerca più o meno vana dell'attimo felice e del godimento.
Nota del 06.01.2012: LINK RIMOSSO su richiesta dell'autore.

sabato 1 maggio 2010

surf sopra il mare nelle onde

Sapevo sarebbe accaduto, eccomi a scrivere una piccola confusa nota virtuale sull'incontro di ieri quando avrei potuto intervenire in carne ed ossa e con la mia voce. Sempre la mia solita...timidezza.
Ad ogni caso ho buttato giù qualche appunto veloce e qualcosa ricordo di quello che volevo dire, qualcosa. Ricordo ad esempio che riguardava il discorso che si stava facendo sullo scetticismo. Sugli appunti vedo scritto "strategia. perchè?". Evidentemete volevo portare l'attenzione non sul come, o sul che cosa, bensì sull'esperienza umana e artistica del poeta. Insomma volevo chiedermi (e questa prospettiva mi ha sempre affascinato) per quale motivo vitale, quale istanza vivente rende necessario il ricorso leopardiano allo scetticismo (che sia così o cosà condivido le riflessioni dei gentili professori). La mia immaginazione allora ha cominciato a borbottare trasportata dai pensieri che venivano liberati in aula. Scrivo "meraviglia metafisica -grande liberazione". mi riferivo all' euraka! . Scrivo poi "vedi trama del discorso scettico -grande liberazione". Anche qui una grande liberazione. Un moto capovolto però rispetto a quello precedente. A fatica affiora l'intuizione di quella istanza vivente, del perchè che andavo cercando. Affiora per poi inabissarsi di nuovo. Ma osservando poeticamente la faccenda mi è parso per un'attimo di capire la strategia (certo non lucido calcolo) che si attua, per così dire, nell'immaginario artistico filosofico di Leopardi. Scrivo infine "strategia delle due nature. l'educazione.". Poi ho cominciato a pensare al luogo dove il mare e il cielo s'incontrano, superficie, e mi si è fatta incontro l'immagine di un'onda. Ho pensato alla gravità dell'uomo. Allora ho immaginato un surfista ed ho scritto "surf sopra il mare nelle onde". Il ricorso allo scetticismo permette a Leopardi di sostenesi in superficie. Questa marea, questo circolo e ricircolo d'illusione\delusione permette: 1.al pensiero del poeta di rimaner pensiero naturale (per un istante inconcepibile); 2.al corpo, alla natura del poeta di sostenersi pensante (non pensata). Tutto è senza risoluzione ma permette all'uomo di perseverare nel moto. Mi fermo qui.
Ringrazio i proferssori per i loro interventi di ieri.
Alberto.

venerdì 30 aprile 2010

Riferimento: relazione di L.Zambrano

nota alla relazione di L.Zambrano circa il riso umanamente parlando.

"Dei cittadini, o Pericle, nessuno potrà biasimare
il nostro cocente dolore, nè alcuno in città
potrà rallegrarsi alla mensa; tanto valenti
uomini sommerse il flutto del mare tempestoso.
Di sospiri gonfio, ansima per l'ambascia il petto.
Ma un farmaco diedero gli dei al dolore insanabile:
la forza di sostenerlo. Ognuno è soggetto
al dolore: ora esso a noi tocca: la sanguinosa
ferita il cuore ci strazia; altri esso raggiungerà
domani. Datevi forza, dunque, e bandite
ogni femmineo lamento."

[Archiloco]

giovedì 29 aprile 2010

Relazione di S. Crespi: Nietzsche e Leopardi a confronto

La relazione di S. Crespi sul confronto tra Nietzsche e Leopardi è qui allegata (si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting remoto del file).
Crespi scrive che "Leopardi per Nietzsche è colui che unisce la filologia alla poesia ed accanto ad essa appare anche la riflessione filosofica; il senso è per Nietzsche quello di un incontro perfetto".

mercoledì 28 aprile 2010

Gaspare Polizzi: genesi dell'antropologia negativa nella concezione leopardiana

Disponibile in rete l'ampia tesi di dottorato di G. Polizzi di cui al titolo di questo post.
>> link (file pdf, 998 kbyte, sito esterno, nuova finestra)
Il testo si articola in una circostanziata analisi dell'originaria individuazione leopardiana dell'ingenuità felice dei Californi, della scoperta attraverso Barthélemy del pessimismo greco, e della maturazione dell'antropologia negativa che emerge ne La scommessa di Prometeo.
Per il testo di Barthélémy, vedi il link su Google Books.

lunedì 26 aprile 2010

La perdita del riso: relazione di L. Zambrano

Ecco l'abstract della relazione di L. Zambrano:
Il testo discute la teoria di Leopardi secondo la quale, man mano che passa il tempo e l'uomo diventa più infelice, la capacità di ridere aumenta.
Dopo un breve sunto della concezione del riso presentata dal poeta nell'Elogio degli Uccelli si constata come, a dispetto di quanto detto da Leopardi, oggi l'uomo sembri aver in parte perso la capacità di ridere. Questa perdita potrebbe essere causata da un eccessivo restringimento delle nostre speranze, restringimento che ci impedirebbe di raggiungere il distacco necessario per farci ridere.
>> Seguire il link del "leggi tutto" per la relazione nel suo insieme.
 
La perdita del riso

Pietro Verri: fonte online e suggerimento critico

In relazione al tema piacere/dolore, discusso nella precedente seduta del seminario, si è fatto ampio cenno alle posizioni di Maupertuis e di Pietro Verri come due diretti antecedenti delle riflessioni leopardiane. Ci sembra utile ora segnalare ai lettori che il Discorso sull'indole del piacere e del dolore e il Discorso sulla felicità di Pietro Verri sono interamente digitalizzati nell'edizione del 1781 (presso Giuseppe Marelli, Milano) su Google Books.

Suggeriamo nel frattempo il saggio di L. Derla, La teoria del piacere nella formazione del pensiero di Leopardi, in "Rivista Critica di Storia della Filosofia", n. 26, 1972, pp. 148-6.

domenica 25 aprile 2010

Interpretazioni di Sade; qualche fonte online

Sull'argomento, che ha suscitato qualche curiosità nella discussione seminariale, sembra utile consigliare una risorsa online (Rodoni.ch, Ferruccio Busoni website/Bibliotechina del curatore) che riprende antologicamente l'ormai raro volume a cura di V. Barba Interpretazioni di Sade (Savelli, Roma, 1981):
- link, sito esterno, nuova finestra
Altre risorse con testi e saggi critici qui (dallo stesso sito di cui sopra, ampia scelta di originali, ripresa di letture critiche insigni tra cui quella di L. Baccolo).
Tra i materiali più recenti si può vedere con profitto R. De Benedetti, La chiesa di Sade. Una deviazione moderna, Medusa, San Giorgio a Cremano, 2008.

sabato 24 aprile 2010

Leopardi e Sade: sulla discussione dopo la relazione di V. Morosi

La relazione di V. Morosi, già presentata in abstract e handout in altro post, ha tra l'altro dato luogo a un'interessante scambio di opinioni su due temi: il rapporto tra noia leopardiana e apatia sadiana e la questione del piacere corporale.
Sul primo tema, la noia come desiderio puro di felicità e acuta consapevolezza del bisogno del piacere come non soddisfatto ma non offeso (concezione di Leopardi) è comunque un affetto; l'apatia sadiana, sottolineata da Barthes e Blanchot, sembra invece tentare di spostare il godimento da un piano prettamente fisico-sensuale a uno del tutto intellettuale. Sembrerebbe quasi la realizzazione del piacere come "subietto speculativo", cioè proprio la concretizzazione di quel che Leopardi riteneva impossibile!
Un'altra riflessione è sorta dai presenti in relazione alla localizzazione fisica del piacere: in Sade questo si limita alla débauche, cioè al suo aspetto erotico? O c'è un piacere della corporeità poliedrico e indipendente da quest'ultimo? Riflettendo sulla congiunzione necessaria tra piacere e crimine, in quanto il piacere è ritorno alla natura e trasgressione della legge che lo impedisce (come dice il finanziere Durcet nelle 120 Giornate, in passo che Morosi ha commentato), sembra si possa escludere che esista un piacere diretto e ingenuo della corporeità a contatto con la natura in Sade. O almeno che il libertino ne possa ancora godere con soddisfazione.

venerdì 23 aprile 2010

Relazioni del 23.04: M. Virgilio su Leopardi e Montaigne

M. Virgilio, confrontando Leopardi e Montaigne, si è soffermata sulla diversa benché convergente critica della ragione: se Leopardi nega la funzionalità della ragione rispetto alla felicità della specie umana, identificando nella ragione una facoltà che è diventata inutilmente ipertrofica, Montaigne esprime la propria convinzione che le anticipazioni raziocinanti ingombrino inutilmente l'animo con preoccupazioni che trattengono vanamente dalla vita vera e propria. Di qui in entrambi, almeno per un certo periodo, la  teorizzazione di una condizione ingenua della vita che, anche se non priva di contraddizioni e sofferenze, è meno contraddittoria della sofferenza e della malvagità dei moderni.
Nel corso della discussione si sono commentate in particolare alcune pregnanti espressioni della Storia del genere umano relative all'inquieta, insaziabile, immoderata natura umana che hanno animato una vivace riflessione sull'antropologia leopardiana. L'uomo, costituito per sua natura nello squilibrio del desiderio rispetto alla sua realizzazione, non è semplicemente dotato di ragione a compensazione della propria mancanza di istinti adattativi naturali che lo simbiotizzino ad un ambiente, ma perché la ragione in fondo non è altro che l'espressione diretta di quello squilibrio tendente all'infinito che è un elemento affettivo di base della nostra natura. In ciò Leopardi è un moderno lontano dall'equilibrio montaigniano, e non sembra mai pensare ad un uso disciplinato della ragione che ne parzializzi gli effetti, bensì alla necessità di contrastarne gli effetti con una potente controparte emotiva: fattore, questo, che lo differenzia anche da Spinoza.
Altro tema significativo della discussione è emerso in relazione alla lettura leopardiana del rapporto tra romantico e classico, soprattutto in rapporto all'idea di un classicismo che non è nell'ordine dell'imitazione dello stile squisito della letteratura, ma in quello di una modalità di rinnovata curiosità e disponibilità dello sguardo al mondo e alla natura contrapposta alla disillusione moderna.
Segue in prossimo post abstract e relazione di M. Virgilio.

Relazioni del 23.04: conclusioni di A. Crisanti

A. Crisanti ha concluso le sue riflessioni su Croce e Leopardi mettendo opportunamente in evidenza la complessità della lettura crociana laddove identifica la relazione tra elemento poetico e non-poetico nell'opera quasi come alternanza ritmica e strutturale che permette, di fatti, il maggior risaltare dell'espressione lirica. Per quanto la consequenzialità rigida da una posizione teorica precostituita pesi, ciò riscatta almeno parzialmente la lettura crociana a comprensione più organica del testo leopardiano (o almeno di singoli testi).
Nel corso della discussione, si sono toccati i temi dell'incomprensione crociana della varietà dei generi del comico in Leopardi, dovuti sia a ragioni di fondo di ordine ideologico sia a strutture limitanti della sua estetica, in particolare al rifiuto di una valorizzazione della poetica dei generi, e il rapporto tra Croce e De Sanctis, sul quale è prevista una relazione scritta di altro partecipante.
Ovviamente la svalutazione del registro comico ha come effetto precipuo l'analoga svalutazione delle Operette morali.
Seguiranno i documenti di A. Crisanti in prossimo post.

mercoledì 21 aprile 2010

Immagini della conferenza del prof. Aimi - con appunti del relatore

Appunti del relatore (conferenza del 16.04, file pdf, nuova finestra, sito esterno)
- link -

Slideshow su Picasa Web Album delle immagini della conferenza del prof. Aimi
- link -

Visualizzazione singola delle diverse in sequenza (immagini jpg, per salvare le immagini TASTO DESTRO, "salva destinazione[o oggetto] con nome..."):

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Altri materiali :

> testo da Pedro de Cieza (file pdf, da anastatica, nuova finestra)
> testo da Montaigne (file pdf, da anastatica, nuova finestra)

Si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting remoto dei file.

martedì 20 aprile 2010

Equilibrio "ragionevole"...

Torniamo sul post precedente e lanciamo un suggerimento: questo equilibrio "ragionevole" invocato non è della ragione ma degli affetti; il primo passo dall'io al tu non è quello del riconoscimento razionale, ma forse quello dell'interazione emotiva...

lunedì 19 aprile 2010

La sfida di Leopardi?

Ad un livello universale, cosmologico, non ha senso parlare di felicità perché, se possiamo definirla come libero e totale godimento delle cose (come si può imprecisamente dire la definì il Leopardi), e se possiamo definire la libertà in generale come assenza d'impedimento al moto (e dunque libertà e felicità si fanno vicine vicine); allora, per quanto l'uomo si senta (o viva) più o meno libero, certo è che si scontrerà inevitabilmente contro il limite della morte, “abisso orrido, immenso” ove ogni luce, ogni speranza, è destinata a precipitare ed affievolirsi. Quest'abisso, considerando, in un ottica intellettuale, l'insieme delle leggi che reggono l'universo, s'apre, a partire da una certa prospettiva filosofica, nel momento in cui si prende coscienza che queste leggi (“leggi di dio”) altro non sono che una proiezione, una illusione dell'uomo (quella stessa illusione che sorregge il sentimento umano quando sente di godere, di stare godendo un piacere perfetto). Ecco, a livello logico credo che questo abisso possa essere definito una petitio principii, un circolo vizioso che nasce e si risolve nel medesimo luogo, nella medesima proposizione che, non sorretta da altro che da se stessa, ed essendo essa stessa vuota, può dirsi nulla.
Questo a livello universale e, si sa, “felicità” è concetto universale, come dire... nome estremo che non riesce a cogliere se non grossolanamente le sfumature, la gradualità con cui la realtà si manifesta alla sensibilità umana, ovvero il primo e più importante ordine che è ragionevole scoprire.
Dall'universo alla terra allora? No signori, si cadrebbe in un errore simile, forse. Felicità è un concetto dell'uomo per l'uomo, un concetto che descrive un'esperienza del mondo degli uomini. Dunque, dall'universo agli uomini. Qui si apre un orizzonte nuovo: non più felicità come assenza d'impedimento bensì, in una dimensione del tutto umana, interpersonale, politica; felicità (e qui provo a dirlo ma ancora non ho parole per farlo in maniera compiuta) come ragionevole equilibrio tra gli uomini. Ma qui, non si dischiude uno sterminato complesso campo in cui questo concetto rinasce (cambia forse anche nome e si moltiplica!); uno spazio umano, finalmente, in cui questa parola, “felicità”, si apre a nuovi significati e può davvero esprimere il suo potenziale? Qui la filosofia, forse, diventa davvero morale, solo qui, rendendoci consapevoli della scelta che è in essa implicata.
Può essere allora questo il luogo ove dimora lo “scandalo” di ogni filosofia (la pietra d'inciampo ma anche prima pietra) dove non si può solo giudicare una concezione, bensì è necessario anche costruirla.

Abstract e relazione di V. Morosi: Leopardi e Sade

Giacomo Leopardi e Donathien Alphonse-Francois De Sade posseggono in comune basi di pensiero materialistiche e sensiste, dovute al rifarsi ad autori settecenteschi di estrazione illuminista. Hanno in conseguenza di questo una certa comunanza nelle basi di analisi teorica da cui proseguire nella osservazione del mondo e della condizione dell'uomo. Tuttavia Sade si fa ben presto tentare da fini apologetici e dogmatici, indotti con grande probabilità anche dalla condizione di insofferenza esistenziale dovuta alla sua triste sorte, operando una totale rivoluzione della morale in chiave teofobica, e dipingendo una natura crudele e un uomo antisociale ed egoista.
Leopardi, invece, attua una analisi ferma e lucida della esistenza umana, sebbene nemmeno qui questa sia considerata idilliaca o piacevole. La condizione di raggiungimento del piacere sarà negata all'uomo, e con essa anche la possibilità di ottenere la felicità su questa terra. Il Recanatese è tuttavia lontano anche dal richiamarsi a morali ultraterrene, e tenterà di evidenziare una fuga dal dolore e dalla noia della vita mediante soluzione “passive”, quali il languore del sonno, la fantasia e il sogno.
Sade propende per una apologia ad oltranza del piacere fisico e attivo. Presto ciò lo condurrà ad una esaltata difesa degli atti criminali come mezzo con cui moltiplicare il proprio piacere, cosa questa che lo renderà noto all'immaginario comune come assoluto limite negativo dell'etica. Le soluzioni dei due autori sono quindi opposte, ma lo sguardo disilluso con cui si osserva il mondo è lo stesso. La tragicità dell'esistenza e l'impossibilità di salvezza operata da deus ex machina metafisici è da entrambi riconosciuta come fulcro in un mondo in cui, tragicamente, l'uomo deve imparare ad emanciparsi e rendersi autosufficiente. Ciò che cambia è solamente la sensibilità della risposta; da un lato abbiamo la brusca animalità che desidera aumentare sé stessa e il proprio piacere, dall'altro la paralisi attuata dalla sconfessione del medesimo e la ricerca di soluzioni alternative e caratterizzate da una sensibilità lirica non comune.

sintesi scritta (file pdf, nuova finestra, sito esterno)

Relazioni orali del 23.04

Le relazioni previste per il 23.04 sono di A. Crisanti (conclusione della relazione sulla lettura leopardiana di Croce), di M. Virgilio (confronto tra Leopardi e Montagine) e di V. Morosi (Leopardi e Sade). Di quest'ultima pubblichiamo in un post a parte l'abstract e una sintesi scritta. Se abbiamo sbagliato qualcosa scriveteci!

domenica 18 aprile 2010

Un articolo di Sossio Giametta su Croce lettore di Leopardi

Segnaliamo, in rapporto alla relazione orale di A. Crisanti che si concluderà nella prossima seduta del 23.04, un articolo piuttosto efficace di S. Giametta (insigne traduttore di Nietzsche) su Croce lettore di Leopardi, che prospetta anche alcuni interessanti riferimenti a Nietzsche e a Goethe.
link (sito esterno, nuova finestra)
Ricordiamo, dalla prima parte della discussione, come sia emersa la paradossale vicinanza di Croce al determinismo positivistico nell'interpretazione del rapporto salute-malattia-filosofia in Leopardi. Per contestualizzare ulteriormente la lettura crociana, potremmo avvalerci di un suggerimento di F. Tuccillo (Leopardi nel tempo, Napoli, Macchiaroli, 2001), che ascrive al sospetto di Croce contro l'irrazionalismo, il nichilismo e le filosofie vitalistiche la sua presa di posizione così dura contro Leopardi (nel 1922-23, periodo denso di altre gravi preoccupazioni politico-morali): come se nell'opera leopardiana si vedessero già tutte le dinamiche di quell'irrazionalismo antistoricistico che Croce coglieva come fattore dominante della crisi morale del liberalismo europeo.

venerdì 16 aprile 2010

Leopardi e la cultura greca

Sulla valutazione dell'epoca culturale classica in Leopardi, a scopi introduttivi e viste le riflessioni proposte dal precedente post, presentiamo online una parte di Leopardi antitaliano ad opera di F. Gallo, antologizzata anche nella dispensa, relativa a Socrate e Teofrasto, e in sostanza appunto all'analisi leopardiana della posizione storica del mondo greco rispetto alla tradizione occidentale.
file pdf, sito esterno, nuova finestra (si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting remoto del file)

Edipo

Edipo Re (vv.1186-1195)

CORO:
Ah, generazioni dei mortali,
la vostra vita e il nulla
in pari conto io tengo!
Quale, quale uomo
attinge felicità più salda
di un'illusione che balugina
e rapida declina?
Se il tuo destino,
o sventurato Edipo,
se il tuo destino a paradigma prendo,
nessun mortale dirò felice:

[....]
____________

Un istante di ammirazione per la poesia di Sofocle, per la città di Tebe e infine per la sapienza di Eleusi..
Ecco, mi sembrava bello sollevare questa risonanza, e se ne potrebbero generare molte altre come ad esempio citando qualche passo del libro dell'Ecclesiaste nell'Antico Testamento. D'altra parte non bisogna dimenticare che il Leopardi è cresciuto a suon di classici e preghiere..
Se riuscirò a raccogliere qualche idea magari svilupperò in un contibuto ciò che qui è solo accennato.

Buona giornata a tutti!

Alberto.

giovedì 15 aprile 2010

In relazione alle "californie selve"...

Segnaliamo ulteriormente sul tema della lettura del mondo americano e in generale dei selvaggi in Leopardi:
L. Sozzi, Le californie selve: un'utopia leopardiana, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, classe di lettere e filosofia», s. III, 1985, v. XV, 1;
M. Balzano, Il selvaggio americano e le sue fonti nell'opera di Leopardi, in «Rivista di storia della filosofia», 2005/2.

mercoledì 14 aprile 2010

Aspetti estetici della valorizzazione del "selvaggio" in Leopardi

Sempre per introdurre alla riflessione sui temi che svilupperà il prof. Aimi, indichiamo questo valido contributo in rete di Andrea Campana.
>> Leopardi, il pavone, la lumaca e l'altro (da GriseldaOnline)
La questione del rapporto con i selvaggi implica infatti anche un aspetto di relativizzazione del valore estetico della tradizione eurocentrica e un principio di paragone tra "mode" dei selvaggi e mode dei civilizzati, di cui si è già discusso in precedenti sedute.

Californie selve e scoperta dell'America: un contributo di B. Foresti

Sembra opportuno segnalare l'ottimo contributo online di B. Foresti, che confronta l'Inno ai Patriarchi e il Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez per evidenziare fonti e riferimenti ideologici della lettura leopardiana del Nuovo Mondo. L'autrice segnala l'importanza dell'abbozzo in prosa dell'Inno; sono importanti anche alcuni luoghi zibaldonici - indichiamo qui a puro scopo campionatorio le pp. 2712, 3179-80, 3301-4 etc., tutte con riferimento ai "Californi" (la popolazione selvaggia della California evocata nell'Inno ai Patriarchi, sub fine).
-> testo dell'Inno ai Patriarchi

Handout della relazione orale di F. Cavalleri

Handout (link su sito esterno, file pdf; si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting del file).
Tra le diverse tematiche sollevate dalla relazione, ricordiamo l'ampia riflessione sule diverse tipologie di "riso", da quello "dolce e riposato" a quello "terribile e awful". Una considerazione opportuna è sembrata essere quella della natura tutta intenzionale del ridicolo, come forma reattiva e critica, e sempre a scopo educativo, morale, psicagogico, oppure come manifestazione soggettiva di indipendenza rispetto ai costumi e alle mode. Non si è rilevato invece un aspetto ludico, un riferimento al riso come cifra ontologica, quale si potrebbe vedere per esempio in Nietzsche. Ma di ciò in altre annunciate prossime relazioni... Indichiamo nel frattempo, per un approfondimento teorico generale sulla tematica del rapporto tra riso e filosofia AA.VV., Ridere la verità. Scena comica e filosofia, c/d R. Prezzo, Milano, Raffaello Cortina editore, 1994.

martedì 13 aprile 2010

Oltre il nichilismo, Leopardi: struttura del volume

Anticipiamo la struttura del volume monografico de "il cannocchiale" a cura del prof. M. Biscuso di cui a precedente post:
- [M. Biscuso], Premessa, p. 3;
- S. GENSINI, La componente antropologica del pensiero linguistico leopardiano, p. 5;
- F. GALLO, Antropologia della condizione storica e strategie della comunicazione in Leopardi, p. 35;
- N. ALLOCCA, «Il corpo è l'uomo». Corporeità, medicina, magnanimità nell'antropologia di Leopardi, p. 57;
- G. POLIZZI, Nel laboratorio di Giacomo Leopardi «filosofo naturale», p. 101;
- A. DI MEO, Il «gioco dei possibili» e i limiti della ragione in Leopardi, p. 137;
- M. BISCUSO, La «spaventevole conchiusione» della metafisica leopardiana. Esistenza, esistente, contraddizione, p. 217.
Ricordiamo l'appuntamento del 30.04 per la presentazione agli iscritti al laboratorio e ai corsisti del prof. Vigorelli.

Relazione sul riso leopardiano di L. Panzeri: abstract e testo

L. Panzeri: relazione sul riso leopardiano

Abstract
Il riso in Leopardi assume una duplice importanza: da un lato il comico viene utilizzato come registro stilistico, dall’altro viene riconosciuto come forma di ammaestramento morale. Il fine che Leopardi si propone di ottenere con le “armi del ridicolo” è quello di scuotere gli animi e rinvigorire le conoscenze. Le Operette morali racchiudono le diverse sfaccettature di registri stilistici ironici (comico, satira, parodia) con un intento elevatore, cioè con la volontà di far riflettere il lettore. Il riso in Leopardi è sempre un riso amaro, che svela le illusioni e mette dinnanzi alla disperazione della vita. Chi ha il coraggio di ridere ha il coraggio di morire. Ciò che in fondo si scopre è che non c’è niente da ridere.

testo completo (si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting del file)

La scommessa di Prometeo: l'analisi di C. Galimberti e altri strumenti di interpretazione

In preparazione dell'incontro con il prof. Aimi del 16.04, invitiamo i frequentanti a riprendere con attenzione l'operetta leopardiana La scommessa di Prometeo, non solo per l'ampia citazione letterale da Pedro de Cieza (link alla versioni elettroniche originali disponibili), ma anche perché il testo costituisce, unitamente a diversi luoghi dello Zibaldone (soprattutto le pp. 1172-3, 2387-9 e 3797-8) uno dei punti cardinali della revisione critica leopardiana del tema del buon selvaggio e dell'analisi dello stato di natura. Molto importante al proposito è l'analisi e il commento corrente in nota alla sua edizione delle Operette a cura di C. Galimberti, che è pressoché interamente consultabile su Google Books in anteprima (non copiabile e protetta da copyright: indichiamo il link per chi non potesse consultare il cartaceo).
Sull'intera tematica del rapporto con i "selvaggi" si veda peraltro M. Balzano, I confini del sole. Leopardi e il Nuovo Mondo, Venezia, Marsilio, 2008 (su cui vedi la recensione di M. Biscuso sulla rivista online "il giornale di filosofia"). Il tema verrà toccato, oltre che dalla conferenza del prof. A. Aimi del giorno 16.04, anche dall'incontro del giorno 30 con i proff. M. Biscuso e F. Trabattoni; anticipiamo infatti che il saggio La «spaventevole conchiusione» della metafisica leopardiana. Esistenza, esistente, contraddizione, contribuito dal prof. Biscuso al volume monografico Oltre il nichilismo, Leopardi, della rivista "il cannocchiale" (nn. 1-2, 2009, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane), riporta importanti considerazioni sulla questione (soprattutto pp. 231-6).

sabato 10 aprile 2010

Sul riso in Leopardi: un saggio di L. Felici

Mentre torneremo in prossimi interventi sulle questioni sollevate dalla relazione di F. Cavalleri, nonché sulla complessa interrelazione tra satira, umorismo, ironia, sarcasmo e comicità bassa di cui si diceva nel dibattito, proponiamo ora un contributo di inquadramento di L. Felici disponibile su Google Books. Il saggio Teoria e fenomenologia del riso (pp. 46-58) proviene dal volume La luna nel cortile: capitoli leopardiani, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006.

Relazione orale di F. Cavalleri sul tono ironico nelle Operette morali (09.04)

ABSTRACT della relazione orale di F. Cavalleri (seguirà handout)
L'ironia è indubbiamente uno dei tratti peculiari e salienti delle Operette morali, il cui progetto attinge a fonti classiche così come alle moderne forme di scrittura filosofico-letteraria settecentesche.
Il ricorso all'ironia, lungi dall'essere mero artificio retorico, acquista un ruolo cruciale per la comprensione stessa del testo, descritto da Leopardi come “un libro di argomento profondo e tutto filosofico e metafisico, benché scritto con leggerezza apparente” (lettera 494 a A.F.Stella).
La tonalità ironica si esplica pienamente nel tentativo di una riscrittura conflittuale dell'esistente, colto da inediti tagli prospettici, e prende forma come apertura alla possibilità di sempre nuove ri-descrizioni della natura umana e sociale.
Tale istanza ironico-satirica, nel suo valore pienamente filosofico, condivide con le manifestazioni letterarie illuministiche settecentesche svariati aspetti. In primo luogo manifesta la consapevolezza del valore dell'approccio estetico, come alternativa e integrazione al discorso logico-sistematico. In tal senso, Leopardi si pone sulla scia delle scelte comunicative illuministiche, che avevano individuato nel racconto (conte philosophique) un mezzo comunicativo adatto per stimolare un pubblico colto, ma non specialistico, all'accoglimento di problematiche squisitamente filosofiche.
In secondo luogo, Leopardi ricorre all'ironia per realizzare una forma di relazione dialogica con il lettore, continuamente sollecitato alla rielaborazione attiva delle idee e alla riflessione sulle istanze aporetiche che emergono nel testo.
Le Operette morali condividono inoltre l'apertura alla multiprospetticità della rappresentazione, posta in atto mediante inedite inquadrature dei personaggi, e una continua teatralizzazione di idee. Infine, è presente nel testo un chiaro intento critico-demistificatorio, tratto caratteristico dei racconti illuministici e delle opere parodistico-satiriche settecentesche (Pope, Swift, Sterne), volto ad una lucida analisi delle storture della civiltà contemporanea.
Al di là delle ascendenze illuministiche, e delle affinità con le forme di scrittura ironica analizzate, esistono tuttavia tratti peculiari della tonalità ironica leopardiana, totalmente inediti e non ascrivibili ai generi sopra menzionati.
Nelle Operette morali infatti, alla derisione satirica, alla deformazione grottesca, alla distanza ironica si accompagna costantemente l'accento sofferto insito nella scelta di mettere comicamente in scena una verità tragica, che accomuna universalmente l'umanità.
Nelle Operette non è rintracciabile quello sguardo sardonico, acre di denuncia e irrisione, che compare in molti romanzi illuministici, e ancor più nelle opere parodistiche settecentesche, volte a mettere impietosamente a nudo i tratti salienti e contraddittori della modernità.
L'ironia di Leopardi, proprio perché nasce dalla tragica consapevolezza del comune destino umano e cosmico, è conforme al modello ravvisato dal socratico Filippo Ottonieri:“La mia ironia non fu sdegnosa e acerba, ma dolce e riposata”.
Si tratta, in ultima analisi, di una sofferta modalità di riflessione che, attraverso le armi dell'ironia, ambisce a proporre un'aperta e rinnovata problematizzazione intorno alla tragica condizione etica ed esistenziale dell'uomo, come singolo ed in relazione alla società.

venerdì 9 aprile 2010

Locandina della presentazione del 30 aprile: Oltre il nichilismo, Leopardi (ESI, Napoli 2010)

Ecco la locandina dell'evento. Ricordiamo che eccezionalmente la location della seduta sarà all'aula 510.
link (sito esterno, si ringrazia agenziaimpronta.net per l'hosting del file)

Modifica della licenza dei materiali del sito

Con la data odierna la licenza è modificata a Creative Commons Attribuzione Non opere derivate 3.0 Unported. Verificare dal link a fondo pagina le specifiche. In sostanza, i materiali sono di proprietà degli estensori; chi li riutilizza deve indicarne esplicitamente la fonte in qualsiasi riutilizzo e non può alterare o trasformare quest'opera, né usarla per crearne un'altra (fatti salvi i normali diritti di citazione, recensione e critica); la fonte da indicare è il presente blog con le rispettive attribuzioni autoriali; i post indicati come "materiali docenti" e "proposte di esercitazione" vanno attribuiti ad Amedeo Vigorelli e Franco Gallo come cotitolari dell'identità autoriale; non esiste un avallo o consenso esplicito al modo in cui il materiale è reimpiegato da terzi.

mercoledì 7 aprile 2010

Stile e pensiero nelle Operette morali

Con riferimento a due importanti testi critici (M. Manotta, Leopardi. La retorica e lo stile, Accademia della Crusca, Firenze, 1998; L. Neri, La responsabilità della prosa: retorica e argomentazione nelle "Operette morali" di Leopardi, LED, Milano, 2008) e a un aforisma di Nietzsche (La gaia scienza, 92 -> link al testo originale) introduciamo alcune considerazioni sul rapporto tra stile e pensiero nelle Operette morali. Ci permettiamo, d'acchito, di considerare che nella saggistica morale lo stile non rappresenta un fenomeno succedaneo o irrilevante ai fini della qualità della teoresi;  tanto più che, per riprendere una battuta dello Zibaldone giustamente enfatizzata da L. Neri (op. cit., p. 85-6), la fonte di conoscenza più forte e convincente per l'uomo non è di tipo deduttivo o calcolistico, ma è quella dell'analogia (cfr. Zib. 66, 3649). Al cuore della conoscenza c'è allora di fatto una capacità retorica di paragone, una capacità di porre similitudini che si muove, evidentemente, al livello della topica. Come suggerisce a ragione Nietzsche nel brano succitato, la capacità immaginativa che presiede alla poesia è dunque ciò che va incatenato e dominato per permettere una buona esecuzione stilistica della scrittura prosastico-argomentativa.

martedì 6 aprile 2010

Ancora sul Discorso sopra lo stato presente... e sul suo rapporto con le Operette: un saggio del prof. M. Biscuso

Un contributo propostoci dal prof. Massimiliano Biscuso, che sarà ospite del laboratorio il giorno 30 aprile prossimo, ritorna sul tema annunciato dal titolo di questo post per dare ulteriori spunti di riflessione ai partecipanti. Il testo è uscito originariamente su "La rassegna della letteratura italiana", luglio-dicembre 2008, pp. 477-490. NON è liberamente riproducibile con la stessa licenza degli altri materiali ma è al solo uso interno del seminario.
Link al testo: La civiltà come rimedio di se medesima. Il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani e la “filosofia sociale” di Giacomo Leopardi (file pdf, 235 kbyte: si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting del file).

lunedì 5 aprile 2010

Il riso nell'Elogio degli Uccelli: qualche riflessione

Tre dei testi più affascinanti delle Operette (Cantico del gallo silvestre, Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco ed Elogio degli uccelli) si configurano, nella finzione letteraria, come opere di altrui mano ai limiti della credibilità ed affidabilità: se il Cantico è tradotto a malapena per la complessa eterogeneità della sua lingua e per la sua tessitura metaforico-retorico aliena alla nostra cultura, l'apocrifo è senz'altro falso per metà (come sugerisce lo stesso Leopardi) oltre ad essere stato abbandonato per tempo lunghissimo senza custodia (il che suggerisce manipolazioni ancora più estese). Non meno singolare però il caso dell'Elogio degli uccelli, attribuito alla mano di Amelio Gentiliano, filosofo neoplatonico più volte citato nella Vita di Plotino ad opera di Porfirio, tradotta in latino da Leopardi nel 1814 e fonte altresì dell'episodio immortalato nel Dialogo di Plotino e di Porfirio.
Il testo, come si diceva, è assolutamente singolare non solo perché evidentemente estraneo a ogni documentata produzione del personaggio storico a cui è attribuito, ma anche perché riporta una serie di considerazioni che il pubblico del tempo con immediata associazione avrebbe colto come tratte da Buffon (dal Discours sur la nature des oiseaux - link alla versione francese) (e magari da Bernardin de Saint-Pierre, Études de la nature, un cui passo è ricordato in Zibaldone, 2686), per un verso e  dalla stessa esplicita filosofia leopardiana per un altro. Una recente lettura della stagione filosofica leopardiana che culmina nelle Operette ha inoltre suggerito un paragone importante con il Fedro platonico, che non possiamo qui seguire per esteso pur indicando la fonte critica (F. D'Intino, L'immagine della voce. Leopardi, Platone, e il libro morale, Marsilio, Venezia, 2009).  Alla tessitura dell'Operetta concorrono anche fonti classiche e rinascimentali (Anacreonte: Ode XX su Google Books, vai a p. 111 Virgilio, IV Ecloga, v. 60; Celio Magno: Rime, 43).

sabato 3 aprile 2010

Critica dei meccanismi della produzione culturale nel Parini e altrove

Ci siamo soffermati più volte sulla tematica complessa della relazione della critica sociale e morale di Leopardi con i fenomeni della modernità e della civilizzazione liberal-borghese, parzialmente simbolggiati dalla figura della "grande città". Abbiamo già notato che la condizione dell'urbanesimo moderno è ambigua, dato che nei confronti della città piccola Leopardi non è certo tenero.
Tuttavia ci sono almeno due passi significativi di cui ragionare a proposito della critica della città grande:

giovedì 1 aprile 2010

Giovinezza e illusione: a proposito di un pensiero del primo aprile (1823)

Leggiamo dallo Zibaldone [2684-5, 01.04.1823]:
"L’uomo sarebbe felice se le sue illusioni giovanili (e fanciullesche) fossero realtà. Queste sarebbero realtà, se tutti gli uomini le avessero, e durassero sempre ad averle: perciocchè il giovane d’immaginazione e di sentimento, entrando nel mondo, non si troverebbe ingannato della sua aspettativa, nè del concetto che aveva fatto degli uomini, ma li troverebbe e sperimenterebbe quali gli aveva immaginati. Tutti gli uomini più o meno (secondo la differenza de’ caratteri), e massime in gioventù, provano queste tali illusioni felicitanti: è la sola società, e la conversazione scambievole, che civilizzando e istruendo l’uomo, e assuefacendolo a riflettere sopra se stesso, a comparare, a ragionare, disperde immancabilmente queste illusioni, come negl’individui, così ne’ popoli, e come ne’ popoli, così nel genere umano ridotto allo stato sociale. L’uomo isolato non le avrebbe mai perdute; ed elle son proprie del giovane in particolare non tanto a causa del calore immaginativo, naturale a quell’età, quanto della inesperienza, e del vivere isolato che fanno i giovani. Dunque se l’uomo avesse continuato a vivere isolato, non avrebbe mai perdute le sue illusioni giovanili, e tutti gli uomini le avrebbero e le conserverebbero per tutta la vita loro. Dunque esse sarebbero realtà. Dunque l’uomo sarebbe felice. Dunque la causa originaria e continua della infelicità umana è la società. L’uomo, secondo la natura sarebbe vissuto isolato e fuor della società. Dunque se l’uomo vivesse secondo natura, sarebbe felice".
Sempre a proposito della melanconia e della diffidenza verso il mondo e il prossimo, il pensiero introduce una tematica (che verrà massimamente articolata nei Pensieri) che potremmo definire fenomenologico-esistenziale: mentre la propensione naturale della persona è nel senso dell'illusione e della proiezione di valore allo scopo di costruire la vita (ciò che potremmo anche definire, con un certo ardimento, l'equivalente del progetto esistenzialistico), la relazione sociale produce l'acquietamento del desiderio di vita e di cambiamento, la disillusione e il ripiegamento sull'egoismo. Quali tra le Operette presentano maggiormente questi temi? O si tratta di una problematica più evidente in lavori preparatori e collaterali, lasciata in secondo piano nelle Operette in relazione a un discorso più cogente e generale? E quanto questa valorizzazione della gioventù rappresenta il tratto specificamente romantico del Leopardi moralista? Ecco un altro buon tema di esercitazione...

martedì 30 marzo 2010

Melanconia, scrittura e modernità

Partiamo da un penetrante suggerimento di A. Prete nel suo saggio Il pensiero poetante. Saggio su Leopardi, Feltrinelli, MIlano, 2006 (link su Google Books). Se le Operette morali, come propone Prete, sono un theatrum philosophicum, in questo teatro quale posto ha la regola dello stile che abbiamo illustrato in un post precedente a partire dalle osservazioni di M. Vitale? Se nel corso del seminario più volte siamo tornati sulla proposta di lettura delle Operette come testo figurale, quanto le prospettive di chiarificazione fenomenologica delle diverse figure della soggettività moderna  dipendono dalla capacità della parola di dare voce alle loro sfumature, ponendosi al servizio della loro presentazione, e quanto invece esse sono marionette sublimi, protagoniste di un carnevale che è tutto quanto resta a fronte del lutto permanente dovuto al tramonto delle illusioni e alla signoria della verità? Potrebbero le Operette essere soltanto, al di là della loro critica satirica del moderno, una sfilata ironica delle tipologie dell'illusione specificamente moderna?
Poniamo allora le Operette come theatrum philosophicum, e congiuntamente il contenuto speculativo delle stesse nella gnosi e nel negativismo esistenziale e metafisico colto da interpreti come Rigoni e Galimberti. Ci resterebbe allora come giustificazione dell'esuberanza di stile e di tessitura letteraria e comunicativa null'altro che la sopravvivenza della scrittura oltre la disillusione della civilizzazione moderna. Quindi la scrittura come luogo di elaborazione del lutto e quest'ultimo come condizione permanente della contemporaneità. Ciò ci riporterebbe al problema della melanconia da un punto di vista non più psicologico, ma epocale.

lunedì 29 marzo 2010

Relazione orale per il 23.04

Con quanto proposto nell'ultima seduta del laboratorio il quadro delle relazioni orali previste per il 23.04 si arricchisce con la proposta di un contributo di G. Fumagalli sul tema del suicidio in Leopardi e in Schopenhauer. Qualora come ipotizzato la relazione di Virgilio su Montaigne e Leopardi fosse anticipata al giorno 09.04, utilizzeremo parte del laboratorio per una lettura del Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez e per una analisi preliminare dell'Elogio degli uccelli, testi che ci permetteranno di riprendere il tema dell'allegrezza.

Mascagni e Leopardi

Nel corso dell'ultima seduta si è tra l'altro accennato alla presenza di una tradizione di reimpiego dei versi leopardiani come testo di cantate liriche, poemi sinfonici e così via. Poiché è emerso il nome di Pietro Mascagni e non è stato possibile supplire al momento la fonte esatta dell'opera e l'incisione, diamo ora conto delle versioni su supporto digitale di Pietro Mascagni, A Giacomo Leopardi, poema sinfonico per sorprano, orchestra e coro, 1898:
>> Edizione Bongiovanni, 1995, sn. GB 2191/92-2
[Soprano]: Gloria Guida Borelli; Orchestra: Orchestra Festival di Bruxelles diretta da Dirk de Caluwé; Coro: Coro Santa Gregoria Drongen condotto da Filip Martens;
Reale Conservatorio di Gand, Belgium, 29/10/1995; registrazione dal vivo.
>> Edizione Actes du Sud, 2001, sn. AT34111
[Soprano]: Denia Mazzola-Gavazzeni; Orchestra: Orchestre Philarmonique de Montpellier Languedoc-Roussillon, diretta da Enrique Diemecke.
Informazioni raccolte da http://www.mascagni.org, da cui si può anche leggere il libretto dell'opera, eseguita per la prima volta sotto la direzione dello stesso  Mascagni il 29 giugno 1898 al teatro Giuseppe Persiani di Recanati, nel quadro delle celebrazioni per il centenario della nascita del poeta.

domenica 28 marzo 2010

Perspicuità raziocinante della prosa delle Operette morali

Prendiamo dal preziosissimo volume di spogli e analisi di M. Vitale (La lingua della prosa di G. Leopardi: le "Operette morali", La Nuova Italia, Firenze, 1992) l'enunciazione sintetica di quei "modi stilistici" della scrittura leopardiana che sono conseguenti "alla [...] diversa ispirazione", "filosofica e insieme sentimentale", delle Operette, riportando qui i tratti che l'autore ritiene tipici come "modi propri dell'esercizio del pensiero":

  • la profusione dei nessi correlativi (tanto... quanto, non solo... parimente, così... come che etc.; cfr. pp. 189-93 per la documentazione);
  • la frequente distanziazione degli elementi delle locuzioni congiuntive, con inversione o interpolazione di elementi che sfruttano tutte le risorse retoriche dall'inversione all'iperbato (esempio dal Parini: ingannano talora in modo anche i dotti e gli esperti, che gli ottimi sono posposti; cfr. pp. 193-4 e nota 7 a p. 194 per la documentazione);
  • le frequenti anafore (un esempio dall'Islandese: Per queste considerazioni, deposto ogni altro desiderio, deliberai, non dando molestia a chicchessia, non procurando in modo alcuno di avanzare il mio stato, non contendendo con altri per nessun bene del mondo, vivere una vita oscura e tranquilla cc; per la documentazione, cfr. pp. 194-6);
  • le sequenze binarie di aggettivi, verbi e sostantivi intese a "una più densa ed estesa espressione mentale" (per la documentazione cfr. pp. 196-8);
  • la ricorrenza di formule incidentali e di frasi parentetiche di carattere aggiuntivo in funzione di subordinazione completiva, a sottolineare sviluppi, articolazioni ed estrinsecazioni del pensiero (formule incidentali: un esempio dal Parini: Tu cerchi, o figliuolo, quella gloria che sola, si può dire, di tutte le altre, consente oggi di essere colta da uomini di nascimento privato; frasi parententiche: un esempio dal Tristano: Parlo così degl’individui paragonati agl’individui, come delle masse (per usare questa leggiadrissima parola moderna) paragonate alle masse [...]; per la documentazione, cfr. pp. 198-201);
  • l'uso del poliptoto temporale, con ripetizione dello stesso verbo in due proposizioni coordinate, in tempi verbali diversi (un esempio dal Timandro: Veramente io non dico che gli uomini mi abbiano usato ed usino molto buon trattamento [...]; per la documentazione, cfr. pp. 202-3);
  • l'apposizione frequente di un sostantivo generico con locuzioni come "cosa che [...]", espediente che secondo Vitale "consente di allargare, senza complicazioni sintattiche, l'esposizione del pensiero" (p. 203; per la documentazione cfr. pp. 203-4);
  • l'uso delle forme avverbiali composte nella culta versione scomposta e analitica (né anche, presso che etc.), il che sottolinea il valore razionale di ciascuna particella (per la documentazione cfr. pp. 204-5).
Per quanto raro, il volume del prof. Vitale, come si è detto a lezione, è disponibile in alcuni remainder di Milano.

sabato 27 marzo 2010

Leopardi e il nichilismo (e Heidegger)

Nel corso della seduta del 26 marzo, sulla scorta della relazione di G. Cancellara, si è discusso tra l'altro del'atteggiamento di Leopardi nei confronti della modernità come contrassegnato dalla necessità congiunta di un'accettazione e di un superamento - tema che è stato poi paragonato alla Verwindung heideggeriana. In generale il discorso si è poi appunto spostato sull'ambiguità del rapporto tra Leopardi e il moderno, responsabile della nuova barbarie nichilistica ma anche orizzonte inevitabile dello sviluppo della civiltà italiana e stato epocale comunque irreversibile. In attesa di prossime relazioni sul rapporto tra Leopardi e i francofortesi, Leopardi e Nietzsche e Leopardi e Sade, che forniranno ulteriori elementi, sembra utile indicare un'ottima relazione recente disponibile online: L. Capitano, Leopardi e la genealogia del nichilismo, che ricapitola una tematica che incrocia (almeno) anche Heidegger, Severino, Caracciolo e altri maggiori teorici del dibattito di fine sec. XX. Qualche avventuroso amante di estetica e metafisica potrebbe rifarsi a G. Zaccaria, Pensare il nulla. Leopardi Heidegger, Ibis Edizioni, Como, 2009, anche per riflettere, sulla base delle diverse note zibaldoniche, sulla genesi psicologica oppure ontologica della nozione di nulla in Leopardi...

Sulla forza dell'abitudine: Daniello Bartoli

Tra i protagonisti delle scelte stilistiche e comunicative di Leopardi c'è lo scrittore secentesco D. Bartoli, del quale citiamo, da L'eternità consigliera, un passaggio introduttivo che si avvicina al tema dell'imbarbarimento dovuto all'abitudine e all'assuefazione così spesso toccato da Leopardi.
Il volume di Bartoli è in visualizzazione completa su Google Books.
>> link alla citazione

Sul suicidio in Leopardi

Nel corso della seduta del 26 marzo è emersa la questione del suicidio e si sono brevemente accennate alcune relazioni a Hume, Schopenhauer etc.; in riferimento a quanto gli interessati potrebbero voler elaborare, indichiamo il saggio di R. Garaventa Il suicidio nell'età del nichilismo. Goethe, Leopardi, Dostoevskij, Franco Angeli, Milano, 1994. Dello stesso autore può interessare, in relazione ai temi più propri del corso (esperienza del tempo, taedium vitae e noia), il cap. VIII dell'opera La noia. Esperienza del male metafisico o patologia dell'età del nichilismo?, Bulzoni, Roma, 1997, dedicato specificamente a La noia in Giacomo Leopardi.
L'esercitazione potrebbe riferire della posizione leopardiana in rapporto al nesso suicidio/noia, sullo sfondo del Plotino e Porfirio, dei materiali della dispensa e di almeno un autore classico (Montaigne, Schopenhauer, Hume, Camus).

venerdì 26 marzo 2010

Alcuni materiali sull'identità nazionale (in riferimento al Discorso sopra lo stato presente)

Vi sottoponiamo alcune riflessioni sul tema dell'identità nazionale (ragionevolmente semilavorate come è bene che sia per le attività di laboratorio) da porre a confronto con le speculazioni leopardiane nel Discorso. Buona lettura e appuntamento alle prossime sedute per l'approfondimento. Ricordiamo anche che dal volume Leopardi antitaliano a cura di M. Biscuso e F. Gallo si può leggere il I capitolo dedicato all'analisi della posizione di Leopardi rispetto ai percorsi di costruzione di una ipotetica identità della cultura nazionale (nell'Ottocento) e delle diverse interpretazioni novecentesche che, limitando la pertinenza di Leopardi al contesto politico e problematico dell'Ottocento italiano, ne proiettano la figura in altri scenari, che definiremo qui genericamente metafisici, ontologici e pessimistici, con esiti che il saggio condanna decisamente, sulla scorta di una ripresa dell'impostazione di S. Timpanaro.
file pdf, 240 kbyte, sito esterno (il file contiene alcuni link a volumi storici digitalizzati online)
link al testo completo del Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani (sito esterno)

Relazioni Mandelli e Romagnoli del 26.03

Ringraziamo le sig.ne Mandelli e Romagnoli per le stimolanti relazioni odierne su Montaigne e Leopardi e su Leopardi ed Epicuro. Nel dibattito congiunto sulle due relazioni, sono emersi complessivamente questi punti:
- la signoria della moda potrebbe essere superiore persino a quella della morte, se la moda/costume/usanza (Mandelli ha evidenziato la vicinanza di questi concetti) riduce la vitalità dell'uomo ed anticipa, di fatto, la morte inibendo la vitalità della persona;
- con la centralità della moda/usanza, si afferma una signoria dell'effimero alla quale sembra possibile reagire soltanto mettendosi sulla difensiva, in uno spazio protetto e scettico di osservazione e critica;
- l'epicureismo, sia nel Ruysch sia in altri punti della riflessione leopardiana, esce per lo più a pezzi dalla critica del pensatore recanatese che ne evidenzia non solo la sproporzione rispetto al tempo nel quale venne formulato (cfr. Ottonieri), ma sembra indicarne obliquamente e ironicamente le insufficienze sofistiche anche nel Ruysch;
- il tema della transizione verso la morte come piacere e come languore si rinviene in Cicerone (Tuscolanae, I, 82), in Montaigne (Essais, II, VI) e in Leopardi (come da suggerimenti, tra gli altri, di Fubini, Bazzocchi e Galimberti);
- peraltro questo tema è collegato nella cultura romantica a una sensibilità che non ha la dimensione prettamente fisiologica dell'affievolirsi del sentire (che in Leopardi sembra prevalere), ma soprattuto quella dell'avvicinamento a un je ne sais quoi, a un inesprimibile che corrisponde alla sospensione scettica del giudizio in Montaigne ma anche al silenzio dei morti alla fine del Ruysch.
Ricordiamo infine che nel dibattito si è tornati sulla differenza della posizione moderna della coscienza rispetto a quella antica relativamente al problema della morte e sulla lettura del Ruysch proposta da F. Gallo in Leopardi antitaliano, antologizzata nella dispensa di supporto.

Handout e relazione di G. Cancellara sul Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani

Pubblichiamo lo handout e l'insieme dei materiali della relazione odierna di G. Cancellara, che ringraziamo per la completezza e l'impegno critico (si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting remoto dei file).
Ricordiamo i punti problematici suggeriti nella discussione:
- la lettura ambigua della modernità da parte di Leopardi: accettare e approfondire la modernità (la relatrice ha proposto un confronto con la Verwindung heideggeriana) oppure distanziarsi da essa ironicamente?
- esiste una crucialità del Discorso rispetto alle Operette: è la presa di coscienza da parte di Leopardi del publico su cui calibrare il proprio testo, in un estremo sforzo comunicativo, o è un'operetta a sua volta, espunta e mancata, ennesimo vertiginoso monologo di un autore senza pubblico e senza speranze?
- qual è il rapporto con la riflessione illuministica sulla psicologia dei popoli, la varietà antropologica dei costumi etc.?
- come si inserisce questo testo nella riflessione sul Leopardi "progressivo" (dibattito Luporini/Timpanaro/Carpi/Placanica/Musarra)?
Si è infine ricordato che il testo di Leopardi si inserisce in un complesso dibattito sulla specificità dell'identità italiana, che si sviluppa in tutto l'Ottocento in relazione al processo di nation-building e arriva fino a tempi recentissimi (Barzini, Bollati, Vassalli).

giovedì 25 marzo 2010

Dare senso al tempo: Colombo e il venditore di almanacchi

Pensieri, XIII:
«Bella ed amabile illusione è quella per la quale i dì anniversari di un avvenimento, che per verità non ha a fare con essi più che con qualunque altro dì dell'anno, paiono avere con quello un'attinenza particolare, e che quasi un'ombra del passato risorga e ritorni sempre in quei giorni, e ci sia davanti: onde è medicato in parte il tristo pensiero dell'annullamento di ciò che fu, e sollevato il dolore di molte perdite, parendo che quelle ricorrenze facciano che ciò che è passato, e che più non torna, non sia spento né perduto del tutto. Come trovandoci in luoghi dove sieno accadute cose o per se stesse o verso di noi memorabili, e dicendo, qui avvenne questo, e qui questo, ci reputiamo, per modo di dire, più vicini a quegli avvenimenti, che quando ci troviamo altrove; così quando diciamo, oggi è l'anno, o tanti anni, accadde la tal cosa, ovvero la tale, questa ci pare, per dir così, più presente, o meno passata, che negli altri giorni. E tale immaginazione è sì radicata nell'uomo, che a fatica pare che si possa credere che l'anniversario sia così alieno dalla cosa come ogni altro dì: onde il celebrare annualmente le ricordanze importanti, sì religiose come civili, sì pubbliche come private, i dì natalizi e quelli delle morti delle persone care, ed altri simili, fu comune, ed è, a tutte le nazioni che hanno, ovvero ebbero, ricordanze e calendario. Ed ho notato, interrogando in tal proposito parecchi, che gli uomini sensibili, ed usati alla solitudine, o a conversare internamente, sogliono essere studiosissimi degli anniversari, e vivere, per dir così, di rimembranze di tal genere, sempre riandando, e dicendo fra sé: in un giorno dell'anno come il presente mi accadde questa o questa cosa.»
Il pensiero leopardiano, da riconnettersi certamente alla nota Operetta del 1832 Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere, introduce il tema dell'illusione come forma prospettica, quasi allucinatoria, mediante la quale l'uomo riesce a recuperare senso e varietà alla monotonia dolorosa della natura, della vita e del loro decorso. Il modesto venditore di almanacchi, indifeso di fronte alle garbate e irrefutabili precisazioni del suo interlocutore di passaggio, è costretto ad ammettere che non vi sono anni,  fatti o eventi di cui festeggerebbe la ricorrenza come felici. Vendere almanacchi, cioè calendari, risulta inutile perché non ci sono fatti da ricordare e festeggiare. Come essere anche solo per un piccolo periodo di tempo felici e avidi del futuro, visto che il venditore ormai vuole solo una "vita a caso", senza progetti e scopi?
Una risposta si trova nel Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez, una risposta che si riallaccia alla tematica dell'attivismo ma che non si allinea completamente alla glorificazione dell'individualismo attivistico della modernità.
Eccovi un tema per una nuova esercitazione...

Tedio del vivere o piacere dell'esistenza? Leopardi e Genovesi

Una proposta significativa di esercitazione consiste nel mettere la teoria leopardiana del piacere a confronto con un'altra significativa riflessione complessiva sul tema, quella del filosofo illuminista italiano Antonio Genovesi.
Nelle sue Meditazioni filosofiche (digitalizzate interamente da Google Books e leggibili online: link) Genovesi espone una dottrina del piacere che sembra andare nella direzione diametralmente opposta a quella del Tasso leopardiano: mentre in quest'ultimo appare la figura della sensazione della propria vita come "noia":
«Genio Che cosa è la noia?
Tasso Qui l’esperienza non mi manca, da soddisfare alla tua domanda. A me pare che la noia sia della natura dell’aria: la quale riempie tutti gli spazi interposti alle altre cose materiali, e tutti i vani contenuti in ciascuna di loro; e donde un corpo si parte, e altro non gli sottentra, quivi ella succede immediatamente. Così tutti gl’intervalli della vita umana frapposti ai piaceri e ai dispiaceri, sono occupati dalla noia. E però, come nel mondo materiale, secondo i Peripatetici, non si dà vòto alcuno; così nella vita nostra non si dà vòto; se non quando la mente per qualsivoglia causa intermette l’uso del pensiero. Per tutto il resto del tempo, l’animo considerato anche in se proprio e come disgiunto dal corpo, si trova contenere qualche passione; come quello a cui l’essere vacuo da ogni piacere e dispiacere, importa essere pieno di noia; la quale anco è passione, non altrimenti che il dolore e il diletto.
Genio E da poi che tutti i vostri diletti sono di materia simile ai ragnateli; tenuissima, radissima e trasparente; perciò come l’aria in questi, così la noia penetra in quelli da ogni parte, e li riempie. Veramente per la noia non credo si debba intendere altro che il desiderio puro della felicità; non soddisfatto dal piacere, e non offeso apertamente dal dispiacere. Il qual desiderio, come dicevamo poco innanzi, non è mai soddisfatto; e il piacere propriamente non si trova. Sicché la vita umana, per modo di dire, e composta e intessuta, parte di dolore, parte di noia; dall’una delle quali passioni non ha riposo se non cadendo nell’altra. E questo non è tuo destino particolare, ma comune di tutti gli uomini.»
da collegare anche alla tesi precoce dello Zibaldone circa il rapporto tra assuefazione e spegnersi del piacere (Zibaldone, 166), in Genovesi si afferma senz'altro il piacere del sentire la propria esistenza. Ma quali argomenti utilizza Genovesi? E perché di tutti i punti della sua dissertazione Leopardi discute proprio il paragrafo 12 della Meditazione I (Zibaldone, 3511)? Che rapporto ha questa scelta con l'interpretazione del tempo, del tedio e con le analisi svolte nel Dialogo di un Fisico e di un Metafisico?

martedì 23 marzo 2010

Interventi dei proff. Aimi e Biscuso del 16 aprile e del 30 aprile

Confermiamo che il 16 aprile interverrà al seminario il prof. Antonio Aimi, esperto di culture peruane e co-curatore del'attuale grande mostra sulla civiltà incaica in corso a Brescia, che commenterà la lettura leopardiana dei "selvaggi" presentata ne La scommessa di Prometeo e appoggiata a una lunga nota (fonte da Wikisource) la cui discussione in termini di taglio etnografico e attendibilità storiografica sarà di notevole interesse.
Il 30 aprile il prof. Massimiliano Biscuso, storico della filosofia e filosofo della medicina, parteciperà al seminario con una seduta speciale in aula 510, presieduta dal prof. F. Trabattoni, nel corso della quale sarà presentato il numero in uscita della rivista "Il cannocchiale" dedicato a Leopardi a cura dello stesso prof. Biscuso. Oltre ai contributi del prof. Biscuso già segnalati sul blog e a lezione, indichiamo il suo saggio Stratonismo e spinozismo. L'invenzione delle tradizione materialista in Leopardi, in AA.VV., Spinoza: ricerche e prospettive. Per una storia dello spinozismo in Italia, a cura di di D. Bostrenghi e C. Santinelli, Bibliopolis, Napoli, 2007, pp. 351-70.

Giuseppe Montani: un giudizio sulle Operette (e una proposta di esercitazione)

Nel 1828 Giuseppe Montani scriveva sull'Antologia (vol. XXIX) che le Operette morali sono un'opera tutta musicale e di musica, per giunta, "altamente malinconica" (per una lettura più ampia di quanto il Montani sostiene, cfr. F. Monterosso, Giuseppe Montani recensore di quattro edizioni leopardiane (1824-1831), in idem, Leopardi tra noi. Perché non possiamo non dirci leopardiani, Mauro Baroni-Turris-Spes, Viareggio-Lucca-Cremona-Milazzo, 1999, pp. 177-213).
Il tema della malinconia ricorre qua e là nelle Operette, nonché nello Zibaldone (pp. 15, 78-9, 170 etc.) e si caratterizza, altresì, per un  legame specifico e forte con la verità, di cui giunge persino ad essere amica (Zibaldone, 1691). Nelle Operette, il sigillo stesso del libro è nel segno della malinconia (vedi l'incipit del Tristano). Ma coime si differenzia la malinconia dolce di Zibaldone, 170 da quella viva ed energica a Zibaldone, 1584 e da quella di Tristano o infine da quella "disperazione" e "tedio della vita" di cui è vittima l'omicida-suicida dell'ultima sequenza de La scommessa di Prometeo?

lunedì 22 marzo 2010

Schema preliminare relazione F. Mandelli (Montaigne-Starobinski-Leopardi: la Moda e la Morte)

La relazione di F. Mandelli, annunciata in un precedente post, si svolgerà sulla base del seguente schema preliminare (si ringrazia www.agenziaimpronta.net per l'hosting del file).
Link allo schema della relazione

domenica 21 marzo 2010

Pessimismo e centralità del corpo in Schopenhauer e Leopardi

Schopenhauer e Leopardi
Indichiamo la fonte online del saggio di F. De Sanctis sul quale si è discusso il 19.3. Nel corso della seduta si è inoltre discusso dell'affinità profonda tra Schopenahuer e Leopardi non tanto in relazione alla categoria di pessimismo, bensì rispetto al tema della centralità del corpo e dell'emozione come via d'accesso principale, non intellettualistica, alla comprensione del senso dell'esperienza umana e della vita tutta. Ciò porta a considerare anche altri autori come prossimi e affini a Leopardi, da Spinoza a Nietzsche. Un ottimo tema per un'esercitazione...!
Si veda intanto Zibaldone, 4174-7:
"Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista è un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; l’esistenza è un male e ordinata al male; il fine dell’universo è il male; l’ordine e lo stato, le leggi, l’andamento naturale dell’universo non sono altro che male, nè diretti ad altro che al male. Non v’è altro bene che il non essere; non v’ha altro di buono che quel che non è; le cose che non son cose: tutte le cose sono cattive. Il tutto esistente; il complesso dei tanti mondi che esistono; l’universo; non è che un neo, un bruscolo in metafisica. L’esistenza, per sua natura ed essenza propria e generale, è un’imperfezione, un’irregolarità, una mostruosità. Ma questa imperfezione è una piccolissima cosa, un vero neo, perchè tutti i mondi che esistono, per quanti e quanto grandi che essi sieno, non essendo però certamente infiniti nè di numero nè di grandezza, sono per conseguenza infinitamente piccoli a paragone di ciò che l’universo potrebbe essere se fosse infinito; e il tutto esistente è infinitamente piccolo a paragone della infinità vera, per dir così, del non esistente, del nulla.
Questo sistema, benchè urti le nostre idee, che credono che il fine non possa essere altro che il bene, sarebbe forse più sostenibile di quello del Leibnitz, del Pope ec. che tutto è bene. Non ardirei però estenderlo a dire che l’universo esistente è il peggiore degli universi possibili, sostituendo così all’ottimismo il pessimismo. Chi può conoscere i limiti della possibilità?
[4175] Si potrebbe esporre e sviluppare questo sistema in qualche frammento che si supponesse di un filosofo antico, indiano ec.
Cosa certa e non da burla si è che l'esistenza è un male per tutte le parti che compongono l'universo (e quindi è ben difficile il supporre ch'ella non sia un male anche per l'universo intero, e più ancora difficile si è il comporre, come fanno i filosofi, Des malheurs de chaque être un bonheur général. Voltaire, Épître sur le désastre de Lisbonne. Non si comprende come dal male di tutti gl'individui senza eccezione, possa risultare il bene dell'universalità; come dalla riunione e dal complesso di molti mali e non d'altro, possa risultare un bene.) Ciò è manifesto dal veder che tutte le cose al lor modo patiscono necessariamente, e necessariamente non godono, perchè il piacere non esiste esattamente parlando. Or ciò essendo, come non sì dovrà dire che l'esistere è per se un male?
Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl'individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi.
Entrate in un giardino di piante, d'erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più mite stagione dell'anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento. Tutta quella famiglia di vegetali è in istato di souffrance, qual individuo più, qual meno. Là quella rosa è offesa dal sole, che gli ha dato la vita; si corruga, langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato crudelmente da un'ape, nelle sue parti più sensibili, più vitali. [4176]Il dolce mele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini. Quell'albero è infestato da un formicaio, quell'altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo è ferito nella scorza e cruciato dall'aria o dal sole che penetra nella piaga; quello è offeso nel tronco, o nelle radici; quell'altro ha più foglie secche; quest'altro è roso, morsicato nei fiori; quello trafitto, punzecchiato nei frutti. Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa ombra; troppo umido, troppo secco. L'una patisce incomodo e trova ostacolo e ingombro nel crescere, nello stendersi; l'altra non trova dove appoggiarsi, o si affatica e stenta per arrivarvi. In tutto il giardino tu non trovi una pianticella sola in istato di sanità perfetta. Qua un ramicello è rotto o dal vento o dal suo proprio peso; là un zeffiretto va stracciando un fiore, vola con un brano, un filamento, una foglia, una parte viva di questa o quella pianta, staccata e strappata via. Intanto tu strazi le erbe co' tuoi passi; le stritoli, le ammacchi, ne spremi il sangue, le rompi, le uccidi. Quella donzelletta sensibile e gentile, va dolcemente sterpando e infrangendo steli. Il giardiniere va saggiamente troncando, tagliando membra sensibili, colle unghie, col ferro. (Bologna. 19. Aprile. 1826.). Certamente queste piante vivono; alcune perchè le loro infermità non sono mortali, altre perchè ancora con malattie mortali, le piante, e gli animali altresì, possono durare a vivere qualche poco di tempo. Lo spettacolo di tanta copia di vita all'entrare in questo giardino ci rallegra l'anima, e di qui è che questo ci pare essere un soggiorno di gioia. Ma in verità questa vita è trista e infelice, ogni giardino è quasi un vasto ospitale (luogo ben più deplorabile che un cemeterio), e se questi esseri [4177] sentono, o vogliamo dire, sentissero, certo è che il non essere sarebbe per loro assai meglio che l'essere".